Carcere in crisi: alle guardie neppure la divisa

Costrette a comprarsela da sole di Marco Galvani

Il carcere di Monza

RADAELLI - Monza carcere.

Monza, 8 giugno 2015 - Quando la divisa non è «uniforme». Una camicia blu acceso, un’altra più pallida, le giacche slavate, le scarpe diverse da un agente all’altro e pure i gradi di servizio a volte mancano. Il guardaroba della polizia penitenziaria «non garantisce il decoro» ma per lo shopping ministeriale mancano fondi. «È un problema che riguarda non soltanto gli agenti in servizio alla casa circondariale di Monza ma anche i colleghi di tutta la Lombardia - la denuncia di Domenico Benemia, segretario regionale della Uil penitenziari -. Manca un po’ di tutto e non viene garantito un regolare e periodico approvvigionamento dei magazzini vestiario». Le divise sono consumate, sono diverse nel modello e nel colore, le scarpe e gli anfibi «dobbiamo comprarli con i nostri soldi che non sempre ci vengono rimborsati». Addirittura «non ci vengono fornite nemmeno le placche di servizio (il distintivo da tenere nel portafoglio, ndr) e mostrine: per mantenere un minimo di decoro per il nostro Corpo di polizia penitenziaria andiamo noi - pagando di tasca nostra - a comprare nei negozi specializzati il materiale che invece dovrebbe essere una dotazione di servizio».

E invece, nonostante ci sia un Decreto ministeriale che prevede determinati equipaggiamenti, ancora non è stato nemmeno sostituito il cinturone da bianco a blu. Per non parlare delle «camicie estive a mezza manica che non vengono fornite da circa 5 anni». Peraltro «andrebbe anche rivista la dotazione visto che 3 camicie ogni 4 anni sembrano davvero insufficienti». Davanti a questa situazione «ci dobbiamo scontrare quotidianamente con una inerzia a livello centrale che inevitabilmente si riflette sull’organizzazione dei Provveditorati regionali e sull’attività dei singoli istituti». Sul fronte dell’abbigliamento di servizio così come per la questione del parco macchine. «Le condizioni dei furgoni blindati con cui vengono accompagnati i detenuti ai processo o nelle strutture sanitarie per visite ed esami non sono delle migliori - lamenta Benemia -. Alcuni hanno sulle spalle anche 200mila chilometri, adesso che è estate non sempre l’aria condizionata funziona e poi numericamente non sono sufficienti e dobbiamo dividerli con altri istituti». marco.galvani@ilgiorno.net