Invalida "licenziata" da un robot: la Cassazione conferma reintegro

A marzo 2010 la dipendente scalzata da un centralino automatico di FEDERICA PACELLA

Uno dei giudici che compongono la Cassazione (Ansa)

Uno dei giudici che compongono la Cassazione (Ansa)

Brescia, 23 febbraio 2016 - Era stata sostituita da un centralino automatico, ma ora dovrà essere reintegrata nell’azienda che l’aveva licenziata. La Corte suprema di Cassazione, Sezione lavoro, ha dato ragione ad una lavoratrice invalida che era stata licenziata a marzo 2010 dalla Fonpresmetal di Bione. La donna aveva perso il lavoro per soppressione di mansione, dopo l’installazione, appunto, del centralino automatico. Per l’azienda la quota di riserva di lavoratori con disabilità era comunque rispettata, visto che erano mantenuti in servizio 5 dipendenti in qualità di invalidi. Il licenziamento era stato impugnato dall’Ufficio Vertenze della Fiom di Brescia con due motivazioni. Uno, il mancato rispetto dell’obbligo di ripescaggio: la donna sarebbe cioè potuta essere assegnata ad altre mansioni equivalenti. Due, secondo il sindacato l’azienda non avrebbe rispettato la quota di posti riservata agli invalidi. Al momento del licenziamento, infatti, la ditta calcolava la quota di riserva del 7% su un numero di 78 dipendenti, escludendo dalla base di calcolo 2 lavoratori assunti con contratto di apprendistato.

La lavoratrice, l’Ufficio Vertenze della Fiom di Brescia e l’avvocato di riferimento del sindacato Giuseppe Ragusa hanno sostenuto che anche gli apprendisti sarebbero dovuti rientrare nella base di calcolo per la determinazione della quota di riserva per il numero di posti di lavoro riservati agli invalidi. Una sottigliezza non di poco conto, perché calcolando il 7% di 80 lavoratori anziché di 78, la quota di invalidi da tenere in azienda sarebbe salita a 6. La giustizia ha dato ragione alla donna. Sia la sentenza di primo grado del tribunale di Brescia Sezione Lavoro del 25 maggio 2012 che la sentenza della Corte D’Appello di Brescia Sezione Lavoro del 18 ottobre 2012 hanno accolto le tesi proposte dalla lavoratrice e dalla Fiom, condannando la ditta alla reintegrazione nel posto di lavoro, al risarcimento fissato in 5 mensilità della retribuzione globale di fatto, al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dalla data del licenziamento fino alla reintegrazione.

Una decisione confermata anche dalla Cassazione, che ha respinto a sua volta il ricorso presentato dall’azienda. «La sentenza di Cassazione – spiegano dalla Fiom - pone un punto fermo e da oggi può costituire un precedente normativo importante a tutela dei lavoratori disabili». Scrive la Corte: «L’interpretazione adottata nella sentenza non solo appare coerente con i testi di legge esaminati e adeguatamente e correttamente motivata, ma appare anche doverosa in ordine al rispetto degli impegni internazionali assunti dal nostro paese e dalla stessa Unione europea (dopo che il Trattato di Lisbona che ha reso possibile la ratifica di Trattati internazionali)». Tra i riferimenti normativi, la Convenzione sui diritti del disabile delle Nazioni unite del 2006, la Carta sociale europea e la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori.