Delitto Macchi, teste Bianchi rivela: "complotto" bresciano per scagionare Binda

Nel processo per l’omicidio di Lidia Macchi, entra così il nome di Stefano Varano, cinquantenne, luinese, amico della Bianchi e come lei militante di Cl

Patrizia Bianchi (Newpress)

Patrizia Bianchi (Newpress)

Varese, 9 luglio 2017 - "Fu Stefano Varano a dirmi che era ovvio che da Brescia arrivasse un aiuto a Stefano Binda. A Brescia Binda aveva tanti amici, suoi compagni all’università Statale". Patrizia Bianchiviene incalzata dall’avvocato Daniele Pizzi, parte civile per la famiglia di Lidia Macchi, e dallo stesso presidente della Corte d’Assise di Varese, Orazio Muscato. La teste dichiara che la sua è una informazione de relato e fa il nome della “fonte”. Nel processo per l’omicidio di Lidia Macchi, entra così il nome di Stefano Varano, cinquantenne, luinese, amico della Bianchi e come lei militante di Cl. La Corte lo ha citato per la prossima udienza, il 14 luglio. Si vedrà se vorrà confermare la tesi “complottista” oppure smentire Patrizia Bianchi. L’antefatto. Il 12 aprile il processo a Stefano Binda si apre con il botto.

L’avvocato bresciano Piergiorgio Vittorini, professionista di nome, ha inviato una lettera alla Corte e alle parti: rappresenta una persona, non specifica se uomo o donna, che asserisce di essere il vero autore della lettera “In morte di un’amica”, recapitata alla famiglia Macchi il giorno dei funerali di Lidia. Uno scritto anonimo ritenuto opera dell’assassino e attribuito da Patrizia Bianchi alla mano di Binda. Una consulenza grafologica lo conferma. Il legale non può fare nomi, è vincolato dal segreto professionale, a meno che non sia l’assistito a liberarlo. La Corte ammette l’avvocato Vittorini come teste, ma come 101esimo della lista, come a dire che sarà in aula solo fra alcuni mesi.

Nella penultima udienza, il 23 giugno, il presidente annuncia di avere ricevuto una lettera da Patrizia Bianchi che, in contemporanea, si è presentata alla quadra mobile di Varese per riferire che la missiva era un tentativo di depistaggio con una “regia” bresciana. E ha fatto tre nomi di avvocati: Vittorini (che ha smentito drasticamente), Adriano Paroli (ex sindaco di Brescia) e Paolo Tosoni, che in una lettera al presidente della Corte ha espresso turbamento umano e professionale per quella che respinge come una menzogna.