Usare l'auto, accendere il condizionatore o i termosifoni. Sono tutte attività che inquinano. Si sa. E chiunque le facci sa, più o meno coscientemente, che sta facendo un'attività che nuoce all'ambiente. Ma ci sono molte altre cose che facciamo e che hanno un impatto sull'ecosistema. Piccoli gesti, ormai quotidiani, come inviare una mail o un tweet, fare un post su Facebook o su Instagram che inquinano. Inviare un tweet ad esempio comporta l'emissione di 0,2 grammi di CO2. Mandare una mail: 4 grammi di anidride carbonica. Una mail con allegata costa all'ambiente 50 grammi di CO2. Poca roba, ma se si pensa a quante volte queste operazioni vengono ripetute da milioni di persone ogni giorno. Senza arrivare al mining (la creazione) dei bitcoin: 56,8 milioni di tonnellate di CO2 in un anno. Anche se non ce ne accorgiamo, ogni azione digitale comporta degli effetti sull’ambiente. Secondo lo “Studio sulla sostenibilità” realizzato da Iab Italia e YouGov, l’industria digitale è responsabile per il 4% delle emissioni di anidride carbonica nel mondo: questo dato è destinato a raddoppiare entro il 2025 e raggiungerà il 20% entro il 2050. Anche se percepito come astratto e intangibile, l’ecosistema digitale è a tutti gli effetti un’infrastruttura fisica e materiale: reti di connessione, cloud, satelliti e centri di elaborazione hanno bisogno di importanti quantitativi di energia per computare, trasmettere e immagazzinare dati, senza considerare il consumo dei sistemi di illuminazione e raffreddamento che permettono il funzionamento di tutta l’architettura IT. Il trend è in continua crescita e anche in Italia stanno proseguendo gli investimenti in digitalizzazione: ma in che modo è possibile abbattere la “carbon thumbprint”, ovvero l’equivalente dell’impronta di carbonio nel settore digitale? Ora, se per un privato "normale cittadino" è difficile pensare di ridurre l'inquinamento facendo queste operazioni, per un'azienda è possibile. Una possibile soluzione arriva ...
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