Coronavirus, la strage nella Rsa di Mediglia: "Noi parenti lasciati soli"

Parlano i figli di alcuni dei 64 anziani deceduti a Mombretto: "Chiedevano a noi se farli ricoverare, ma non sapevamo nulla"

Cinzia Bisoni con il calendario della Rsa su cui è ritratta la madre

Cinzia Bisoni con il calendario della Rsa su cui è ritratta la madre

Mediglia (Milano), 4 aprile 2020 - Coronavirus nella casa di riposo di Mombretto, sono 64 gli anziani che, a oggi, non ce l’hanno fatta, quasi la metà di quelli inizialmente ospitati in struttura. Mentre continua senza sosta il tragico viavai dei carri funebri, la rabbia e l’angoscia dei famigliari montano come un fiume in piena. Chiedono di capire il perché di una tale carneficina: erano tutti destinati a quella morte orribile, i loro cari, o qualcuno poteva essere salvato? Soprattutto, che ne sarà di quelli ancora ospitati in struttura e dichiarati asintomatici?

Domande che devono trovare ancora una risposta, mentre si susseguono le testimonianze. Come quella di Monica Panettone, di Paullo, che il 14 marzo scorso ha perso il padre Francesco, 88enne, morto in struttura. "A mio papà gli altri ospiti volevano bene – racconta – lo avevano soprannominato Pane e lui aveva una parola buona con tutti. Andavo tutti i giorni a trovarlo, fino al 24 febbraio, data in cui la direzione mi ha chiamata per chiedermi di stare a casa, ma di non preoccuparmi perché mio papà stava bene. Le visite sono riprese su appuntamento e il primo marzo mi hanno fatto entrare. I degenti sono suddivisi in nuclei, quello di mio papà era composto da 23 anziani, che ho trovato riuniti in sala da pranzo insieme a due operatori, senza mascherina né guanti. In camera con mio papà c’era un altro ospite, anche lui fra i deceduti. Al telefono mi tranquillizzavano, dicendomi che mio papà stava bene. Solo il 12 di marzo mi hanno comunicato che aveva qualche linea di febbre. Il 13 sono stata contattata da un medico della struttura, che mi ha chiesto se preferivo lasciare il mio papà lì o farlo ricoverare in ospedale. Ma come potevo io decidere, senza averlo potuto visitare e senza le adeguate competenze mediche? Hanno aggiunto angoscia alla mia angoscia. Il giorno successivo, alle 11.50 del mattino, mi hanno comunicato che mio papà era deceduto".

Dello stesso tragico tenore la testimonianza di Graziella Giroli, di Pantigliate, che nella Rsa ha visto morire la mamma Rosetta, 91enne. «Non mi hanno mai confermato che mia mamma avesse contratto il virus, non le hanno mai fatto il tampone. Era in camera con un’altra persona, anche lei fra i deceduti. Il 2 di marzo sono andata a trovarla. Era nella sala comune insieme a tutti i componenti del suo nucleo, una ventina di ospiti. Con loro ho incontrato 8 operatori, tutti senza mascherina. Pochi giorni prima del suo decesso, avvenuto in struttura il 25 marzo, mi hanno contattato per chiedermi se volevo ricoverarla, e in quel caso di metterlo per iscritto. Una scelta disumana, perché non riuscivo a capire cosa fosse veramente meglio fare, chi potesse assicurarle l’assistenza migliore. Una sofferenza indicibile. Ora la rabbia sta superando il dolore, voglio la verità e voglio che venga fatta giustizia. Almeno si potrà dare un senso a questa orribile tragedia".

Intanto, per i familiari di chi è ancora ospitato in struttura prosegue il lento calvario. Cinzia Bisoni, di Pantigliate, è preoccupata per la sorte di sua mamma Franca. "Mi dicono che è asintomatica – spiega – e ogni giorno vado sotto la sua finestra, dall’altro capo della strada, per salutarla. Lei mi sorride e mi fa cenno con la mano. Tutte le volte mi chiedo se la rivedrò ancora. Sfoglio il calendario regalato lo scorso anno dalla Rsa con le fotografie di tutti i vecchietti. Molti non ci sono più. Perché non stanno facendo la sanificazione che abbiamo chiesto a più riprese? Io non riesco a rassegnarmi. Continuerò a lottare per dare voce alla mia mamma e agli anziani fragili come lei, che non possono difendersi da soli".