
di Federico Magni
Nonostante fosse dato per sfavorito, il 30 settembre, ha battuto il campione di casa regalando un grande spettacolo di Mma nella “gabbia” della Vistalegre Arena di Madrid davanti a migliaia di tifosi, tanto da essere acclamato da buona parte del pubblico che non era lì per lui. Ayoub Nacer è un ragazzo di 23 anni e sta facendo parlare il mondo delle arti marziali e della Mma in Italia e non solo, dopo aver battuto nella categoria 57 chili Rafael Calderon in un match dell’evento “Wow”, uno dei più importanti in Europa per gli sport da combattimento. Imbattuto con tre vittorie da professionista e quattro da semiprofessionista, i riflettori ora puntano su Nacer e quella che sta scrivendo è una bella storia di riscatto. Rimasto solo a 16 anni, ha scelto di combattere per non finire fuori strada, fa l’operaio e non è semplice quando fai due allenamenti al giorno. Timido ma fiero, gli occhi che guardano lontano e il fuoco dentro. Lo incontriamo negli spogliatoi della Top Level Gym di Erba, in provincia di Como, la sua casa e la sua famiglia.
Come è andata nella gabbia di Madrid?
"Ero lo sfavorito, mi hanno chiamato per perdere ma sono riuscito a dominare i tre round davanti a un piccolo pubblico di casa. I miei amici sono venuti a sostenermi. Ho usato l’astuzia. Il mio avversario era molto forte, esplosivo. Ma sono riuscito a vincere. Un’emozione unica davanti a tutta quella gente".
Cos’è per te la Mma?
"La Mma, soprattutto in Italia, è considerato uno sport violento, praticato da ragazzi cattivi. Ma è il contrario. A me ha insegnato rispetto e umiltà. Ho iniziato che ero un ragazzino, quando è partita mia mamma nel 2016. È andata via per darmi un futuro. Potevo prendere davvero brutte strade. Questo sport mi ha insegnato l’educazione, il rispetto".
Quando ti sei avvicinato alla lotta? E quando hai capito di avere talento e soprattutto “fame”?
"Ero un ragazzino mingherlino ma riuscivo a tenere testa a gente che si allenava già da un po’. Ho preso un sacco di botte, ma non ho mai mollato. Avevo tanta rabbia repressa. Sono nato e cresciuto a Erba. Le mie origini sono marocchine, ma sono italiano e basta. I miei hanno divorziato quando ero piccolo. Mi sono trovato a mantenere una casa, a trovare un lavoro. Mi sono sentito travolto dalle responsabilità. Ho trasformato quel dolore in un punto di forza. Ho sofferto da bambino per il bullismo e volevo diventare forte per aiutare i più deboli. Mia mamma avrebbe preferito il calcio. Appena è partita ho incontrato Cristian (Binda, il suo allenatore e un riferimento della Mma in Italia). Sono cresciuto qui nella Top Level, Cristian e Andrea Fusi sono diventati la mia famiglia. Da ragazzino ero anche una testa calda, ma loro hanno capito. Si sono presi cura di me. Io consiglierei a tanti ragazzi che hanno problemi nella vita di praticare questo sport. Ma tanti sport possono salvarti la vita in certe situazioni. Io credo di esserne la dimostrazione".
Quando sali sul ring sei sempre avvolto nella bandiera italiana, che significato ha per te?
"Combatto per l’Italia, combatto per il mio Paese. Ho fatto una promessa a me stesso: sarò il primo campione italiano al mondo".
Fai una vita durissima, fra allenamenti e lavoro, come riesci ad essere un fighter professionista?
"Il mio sogno è diventare il più forte. Faccio l’operaio metalmeccanico. Mi alleno dal lunedì al sabato, a volte faccio due allenamenti al giorno. Sono distrutto, ma devo fare così. Ci sono tante persone al mondo che hanno il mio stesso sogno e magari hanno una condizione economica migliore. Io devo fare i turni".