Gianni Clerici, i gesti bianchi e la coppia perfetta con Rino Tommasi

Addio allo "scriba" che ha fatto del racconto sportivo poesia. Le telecronache non erano "solo" tennis ma un viaggio epico in mondi paralleli

Il giornalista e scrittore Gianni Clerici (Foto Cusa)

Il giornalista e scrittore Gianni Clerici (Foto Cusa)

C'erano Michelino (Chang), Pietrino (Sampras) e Stefanello (Edberg), ma anche Serenona (Williams). E allora poteva sembrare un film di Fellini. Oppure era un "peplum" abitato da Venere (Williams), Minerva (Hingis) e Giunone (Davenport). Sì, perché una partita di tennis raccontata nelle sue cronache da Gianni Clerici - il giornalista, scrittore e cantore di sport e finissimo uomo di cultura che ci ha lasciaTI - e nelle memorabili telecronache con Rino Tommasi, non era "solo" una partita di tennis. Era cinema e letteratura, teatro e saggistica, poesia e prosa, era l'alto ed era il basso (che sapeva però di essere alto). Gianni Clerici il tennis lo ha raccontato come nessuno, ma anche reinventato. Dietro l'instancabile storico - autore di una monumentale bibbia dello sport con la racchetta,  "500 anni di tennis" - c'era l'intellettuale capace di fare dei "gesti bianchi" (anche il titolo di un suo celebre libro) una filosofia da tramandare. Il tennis, per Clerici, lo "scriba", era più di un gioco, i suoi protagonisti (solo se lo meritavano) figure mitologiche, come Suzanne Lenglen, la "divina" cui dedicò articoli, ricerche  e anche un'opera teatrale.

Le telecronache al fianco di RIno Tommasi, per chi ha avuto la fortuna di seguirle (tra emittenti private, prima, e poi alla conquista del staellite), sono state un'epopea infinita dedicata al tennis: un'epica alimentata di racconti sempre nuovi o opportunamente reinventati. Una magia possibile grazie al binomio perfetto tra ragione (di Tommasi e dei suoi, inconfutabili, numeri) e sentimento (di Clerici con le sue fantasmagoriche allegorie). Ruoli anche intercambiabili. E' statro teatro il loro, con tempi anglosassoni e sagacia italiana, in cui il risultato finale del match, diciamocelo, era spesso la parte meno interessante della vicenda.

Si poteva stare lì a cogliere per 5 set le imprecazioni in croato di Goran Ivanisevic a Wimbledon (se sciaguratamente siete stati fan di Ivanisevic, beh lo sapete, parliamo di milioni). Oppure sentirsi raccontare immaginifiche prodezze al poker di Arantxa Sanchez. Era il visibilio per l'eleganza di Roger Federer, ma anche la ferocia se sbagliava (il "più forte di tutti i tempi che non ha la volée di dritto", sì è successo anche questo, in una finale a Church Road in cui Nadal lo stava brutalizzando). La noia non era prevista, perché anche se il match finiva 6-1 6-1 c'era stato il tempo di volare in un mondo di valchirie, amazzoni e "veroniche". Quel che è certo è che alla fine di quel match avevi imparato qualcosa. Sul tennis certo, ma ache su molto, molto altro. Tenez, tennis!