Paola Zukar: "Vi racconto tutto sul rap e la sua via italiana"

La manager di Fabri Fibra e Marracash, si confessa: le mie pagine più belle? Su Madame, nuova e stimolante

Paola Zuckar

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Milano - Nel suo profilo whatsapp ha messo l’immagine di un Betta splendens, coloratissimo pesce combattente. Un simbolo di forza e di fantasia. D’altronde pure lei, Paola Zukar, per diventare “la signora del rap italiano”, la manager più influente della scena nazionale, di battaglie ha dovuto affrontarne diverse. "Il nostro è un ruolo complesso, a volte bisogna sgomitare e in questo una donna può incontrare qualche difficoltà in più degli uomini" spiega lei, genovese trapiantata a Milano, che ha appena rimandato in libreria il suo “Rap. Una storia italiana” con corposa, quanto necessaria, appendice sul quinquennio che ha cambiato la scena musicale italiana. "Quando nel 2016 ho dato alle stampe il libro, non potevo certo prevedere l’esplosione della trap, né che quel fenomeno si sarebbe trascinato dietro l’intero pianeta rap". È cambiato il mondo. "Sì. E da quando ho cominciato questo mestiere, nel 2006, è cambiato l’universo. Negli ultimi anni, infatti, la musica urban italiana è riuscita a trovare quei due o tre tasselli che ancora gli mancavano per essere considerata ‘mainstream’ come negli altri paesi europei". E quali erano questi elementi? "L’incremento della presenza femminile, ma anche una certa maturità di contenuti e una grande presa tra i ragazzini". Milano rimane il crocevia di tutto questo. "Come industria, indubbiamente sì. Artisticamente, meno. Se in Italia, infatti, sono Milano, Roma e Napoli a far funzionare il sistema musica, spesso alcune delle realtà più interessanti arrivano dalla provincia. Penso a Salmo che viene da Olbia, a Fabri Fibra che è di Senigallia, o, ancora, a Madame, vicentina". Chi è stato il primo a credere in lei? "Fibra, anche se con lui ci conosciamo dai tempi in cui muoveva i primi passi nel mondo della musica e io lavoravo alla fanzine ‘Aelle’. Poi subito dopo è arrivato Marracash". Portare Madame a Sanremo ha significato solo accettare le regole del Festival o provare a stabilirne delle nuove? "Entrambe le cose. Madame all’Ariston non ha portato un pezzo in rima, ha cantato, perché quello non è il contesto giusto per essere ‘contro’. Allo stesso tempo, però, l’ha fatto con una canzone ‘nuova’, malinconica e stimolante, che la rappresenta esattamente per quel che è". Nella novantina di pagine aggiunte in questa nuova edizione del libro, quali le è piaciuto scrivere di più? "Proprio quelle su Madame e sulla crescita del rap femminile in Italia. Mi sarebbe piaciuto anche sottolineare che in questi anni il fenomeno urban ha spinto i media verso un’informazione in materia più attenta e specializzata; ma invece, a parte la nascita di una valida rivista come ‘Esse Magazine’, è successo poco".