ANDREA SPINELLI
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Danila Satragno, la ex corista di De Andrè: “Il jazz mi ha rapito il cuore e ho incontrato la Vanoni”

Il legame con Annalisa ("ho aspettato 10 anni prima di proporla in tv") e Damiano dei Maneskin conosciuto tramite Manuel Agnelli: "Grazie a lui ho vinto il mio primo Sanremo e poi l’Eurovision...".

Danila Satragno con Damiano e Victoria De Angelis dei Maneskin

Danila Satragno con Damiano e Victoria De Angelis dei Maneskin

"Con una mamma cantante e un papà pianista di jazz il mio era un destino segnato o quasi", ammette Danila Satragno, insegnante di canto al Conservatorio di Milano, cantante jazz, corista, pianista, ma soprattutto “vocal coach” di mezzo empireo del pop italiano. È lei, infatti, a prendersi cura delle corde vocali di quegli artisti quando malanni, usura, imprevisti, minacciano di metterli alle corde. Un pronto soccorso della voce che ha portato la musicista savonese trapiantata in città a lavorare con Arisa, Jovanotti, Ornella Vanoni a Malika Ayane, Giuliano Sangiorgi, Giusy Ferreri, Mario Biondi, Roby Facchinetti e tanti altri ancora. Danila è stata corista di Fabrizio De André e Mango, Rossana Casale, Bruno Lauzi. Attualmente è in tour con Tedua. "Potrei dire di aver iniziato a fare questo mestiere all’età di 10 anni" scherza, ma non troppo. "Fui ingaggiata, infatti, dallo Zecchino d’Oro per seguire le audizioni dei bambini in giro per il mondo e, in caso di difficoltà, suggerirgli nell’orecchio la parolina giusta. Poi, nel corso dello spettacolo, avevo modo di esibirmi pure io accompagnata una band di giovanissimi come me".

Cosa ha trasformato la sua passione in mestiere?

"Ho cominciato a studiare pianoforte all’età di sei anni e, al momento di scegliere che direzione scolastica prendere, tra musica e lingue non ho avuto esitazioni. Venendo da un paese di mille anime, Cairo Montenotte, raggiunta la maggiore età ho preso a girare l’Italia con la mia Panda per cantare nei jazz club di Milano come nei localini di provincia. I guadagni erano quelli che erano, ma bastavano per pagarmi gli studi. Il jazz mi aveva rapito il cuore e la coronazione del sogno fu andare in America per capire come funzionavano lì le cose".

Dove?

"Alla Duke University dove il direttore dei corsi Paul Jeffrey, già sassofonista di Thelonious Monk, mi volle come insegnante. Ad un seminario conobbi Mal Waldron, ex pianista di Billie Holliday, che mi chiese di incidere un disco assieme. Gli risposi di non averne i mezzi, ma lui volle farlo lo stesso. Gratis. Lo registrammo dal vivo ad una cinquantina di chilometri da casa mia, a Borgio Verezzi, e fu quello che mi lanciò. Avevo 27 anni. Penso siano stati certi attestati di stima e amicizia a crescermi dentro quello che Ornella Vanoni chiama il mio ‘spirito missionario’ nell’aiutare gli altri a fare questo mestiere".

Quando s’è stabilita a Milano?

"Nella piccola grande mela italiana sono arrivata attorno ai trent’anni, grazie a De André e Dori Ghezzi che, da veri amici, quando mio padre venne ricoverato qua mi aprirono le porte di casa loro affinché potessi stargli vicino e allo stesso tempo proseguire il tour di ‘Anime salve’".

Quanti tournée ha fatto con De André?

"Quattro. Durante l’ultima facemmo una scommessa: se fosse andato bene, Fabrizio avrebbe accettato l’appendice europea di concerti che gli era stata proposta. Purtroppo, il destino aveva disposto diversamente e lui se ne andò di lì a qualche mese, prima ancora di mio padre. De André rimane uno dei miei tre angeli custodi, assieme a Mal Walrdon e a Riccardo Vitanza, responsabile della comunicazione che, una volta trasferita in pianta stabile a Milano, mi offrì gratuitamente i servizi della sua agenzia dicendo: “Non ti preoccupare se non riesci a pagarmi ora, lo farai quando potrai“. Così è stato".

Clienti illustri ne ha avuti tanti...

"Quando sulla soglia dello studio che avevo al tempo in corso Buenos Aires si materializzarono Patti Smith e la figlia Jesse, mi guardai attorno per assicurarmi che non si trattasse di una candid camera. Non ci potevo credere. Così come faticai a credere alle parole di Sting la sera in cui, a Sanremo, mi chiese di fargli da vocal coach il giorno in cui si fosse deciso incidere il suo primo disco in italiano".

Fra i suoi affezionati clienti c’è pure Damiano dei Maneskin. Com’è nato il vostro rapporto?

"Grazie a Manuel Agnelli che un giorno mi disse: “Se vieni a lavorare assieme a me ad X-Factor conoscerai un ragazzo con una personalità che ti piacerà moltissimo“. Era Damiano, al tempo sedicenne. Curioso, disciplinatissimo, attentissimo all’alimentazione e con una grande anima. Grazie a lui ho vinto il mio primo Sanremo e il mio primo Eurovision. Ricordo che, non potendolo raggiungere a Rotterdam per via del Covid, avevamo sedute in videocollegamento quotidiane perché voleva assolutamente salire in scena al meglio delle sue possibilità".

Il rapporto professionale più lungo con chi ce l’ha?

"Con la mia conterranea Annalisa Scarrone, perché la seguo da quando aveva 12 anni e assieme abbiamo trasformato la sua voce in uno strumento infallibile. Ho aspettato dieci anni prima di proporla a Maria De Filippi, perché volevo fosse nelle condizioni giuste per non farsi sfuggire la grande occasione. Maria la ascoltò eseguire ‘The dry cleaner from des moines’, un brano scritto da Joni Mitchell su musica di Charles Mingus, arrangiato per voce e percussioni. Il resto è storia. Ogni tanto lo canta ancora".