Con un background che spazia da wine ambassador a scrittrice e opinionista tra carta e web, Cristiana Lauro incanta gli appassionati con il suo stile unico e la capacità di comunicare la cultura del vino in modo ironico e coinvolgente. Col suo ultimo libro “Wine not? Racconti di enofanatismo”, Pendragon, esplora dinamiche e peculiarità di questo mondo, regalandone ai lettori un ritratto vivace e ironico.
Com’è nato l’amore per il vino?
"Al divertimento delle discoteche romane preferivo enoteche e wine bar come Il Goccetto Vini e Oli, Trimani o Enoteca Ferrara. Luoghi che hanno irradiato la cultura del vino e mi hanno fatto scoprire una passione che nel tempo sono riuscita a trasformare in lavoro. Il Goccetto Vini e Oli era un covo di appassionati dove si poteva degustare a prezzi umani. Lì ho conosciuto uno dei miei maestri: Sergio Ceccarelli, il titolare, che mi presentò Daniele Cernilli, allora direttore della Guida Vini d’Italia al Gambero Rosso e oggi “Doctor Wine“. Daniele mi trovò brava in assaggio e mi diede l’opportunità di girare l’Italia inserendomi nei panel di degustazione per la sua guida. Da allora mi diverto a degustare e scrivere con linguaggio alla portata di tutti".
Cosa la appassiona di più?
"Tutto, anche quel che non mi appassiona. È un mondo meraviglioso e competitivo, con tanti ruoli e figure che lavorano attorno al Made in Italy, attraverso un prodotto che da secoli tiene alta la bandiera italiana nel mondo".
Quali strategie usa per parlare al pubblico?
"Bisogna parlare con l’obiettivo di farsi capire dagli altri e non per raccontare sé stessi. In caso contrario non si avvicina il pubblico né si coinvolgono le nuove generazioni. Altro aspetto importante è la comunicazione del turismo enologico, sul quale le aziende puntano molto. Concentrarsi anche su questo settore consente di raggiungere ottimi risultati, commerciali e culturali".
Si rivolge al pubblico in maniera competente ma anche leggera e ironica. Il suo “mood“ si è mai scontrato con l’eccessiva serietà di questo mondo?
"Spesso e volentieri succede. Una donna che parla di vino con un linguaggio nuovo, dotata di
senso dell’umorismo e che scrive libri che si vendono, non può mettere d’accordo tutti, soprattutto chi si prende troppo sul serio. Dopo tanti anni mi sono abituata a ciò che la gente può pensare e dire di me: tiro avanti, anche se qualcuno mi considera superficiale. Credo di essere molto preparata in assaggio e non perdo tempo a voler fare diventare materia intellettuale quello che intellettuale non è".
L’approccio all’enogastronomia è diverso nelle nuove generazioni? In che modo?
"Sedersi a tavola al ristorante e bere un vino decente costa troppo e viene spesso visto come una “perdita di tempo” in una società in cui si fa tutto di fretta".
Lei dice anche che i giovani bevono meno vino anche perché è diventato più elitario. Come e quando è successo?
"Sono ormai una quindicina d’anni, con segnali evidenti sin da prima. Le cause sono i prezzi e, ancor di più, i ricarichi ingiustificabili praticati nei ristoranti che hanno reso alcune etichette veri e propri “status symbol“. Poi le aste dei vini, il collezionismo di bottiglie che non stappa nessuno: tutto questo mi fa venire l’orticaria. In un Paese come il nostro che rappresenta qualità a livello internazionale, il vino dovrebbe essere per tutti e andrebbe insegnato nelle scuole. Ricordo quando andavo alle scuole medie l’insegnante di educazione tecnica, professor Chiodini, che ci insegnava a fare il vino. A fine anno scolastico se lo beveva lui. Meglio così!"
Parla del rapporto tra giovani e vino anche in “Wine not? Racconti di enofanatismo”. Come descriverebbe il ultimo lavoro?
"Un lavoro per certi versi dirompente in quanto trae ispirazione da molti libri futili sul vino ma più che altro da personaggi inutili (quanto divertenti e bizzarri, a dire il vero) che spesso evocano un unico, beffardo pensiero finale: ma non è che di vino era meglio non capirci niente? Chiaramente non faccio di tutta l’erba un fascio, ci mancherebbe. E comunque il mio adagio è: “Sempre col sorriso sulle labbra”".
Alcuni dei suoi “falsi miti sul vino” preferiti.
"Nessuno! Detesto i falsi miti. Ne scrivo spesso e volentieri ma proprio perché mi fanno ridere e qualche volta anche un po’ arrabbiare. Uno su tutti il fatto che il vino invecchiando migliori. Che sciocchezza! Se un vino parte male non migliora col tempo. Dimenticavo: ricordare sempre che il vino rosso servito a temperatura ambiente andrebbe inteso come ambiente di cantina, non a casa coi termosifoni accesi. Un vino rosso sopra i 16 gradi non lo tocco nemmeno e su questo molti ristoranti e locali con servizio di mescita al calice dovrebbero fare ammenda e cospargersi il capo di cenere".