Dislessia, un aiuto dai videogiochi: al via un nuovo progetto di ricerca

Il disturbo colpisce il 7% dei bambini in età scolare. Al lavoro Irccs Eugenio Medea di lecco, Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma e Università degli Studi di Bergamo

Un giovanissimo intento a giocare ai videogiochi nella propria camera (repertorio)

Un giovanissimo intento a giocare ai videogiochi nella propria camera (repertorio)

Bergamo, 27 giugno2 2023 – Giocare con i videogiochi può essere utile per la dislessia? Sembra proprio di sì, stando a un nuovo progetto nato dalla collaborazione tra Irccs Eugenio Medea (Lecco), Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma e Università degli Studi di Bergamo che intende studiare le basi neurobiologiche della dislessia evolutiva e l'efficacia di nuove terapie avanzate basate sui videogiochi d'azione.

La dislessia nei bambini

La dislessia evolutiva è un disturbo del neurosviluppo che colpisce circa il 7% dei bambini in età scolare, è caratterizzato da una difficoltà nell'automatizzazione della lettura che incide profondamente sulla resa scolastica, sul benessere psicosociale del bambino e, in prospettiva, sul suo futuro inserimento nel mondo del lavoro.

Il progetto di ricerca

Per contrastare questo disturbo e proporre nuove soluzioni terapeutiche nasce un nuovo progetto di ricerca traslazionale realizzato grazie alla collaborazione tra l'Irccs Eugenio Medea di Bosisio Parini (Lc), l'Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma e l'Università degli Studi di Bergamo. Il progetto si propone il doppio obiettivo di comprendere le cause genetiche e ambientali della Dislessia Evolutiva, in modo da poter mettere in campo strategie di prevenzione e di diagnosi precoce del disturbo, e di strutturare percorsi terapeutici efficaci per i pazienti già diagnosticati.

La prima parte dello studio

“La prima parte dello studio si pone l'obiettivo di testare gli effetti di una stimolazione ambientale con videogiochi di azione in base al background genetico dei bambini - sottolineano i ricercatori -. Tra i fattori di rischio già noti c'è, infatti, una forte ereditarietà del disturbo. In particolare, è stato studiato il ruolo del gene Dcdc2, regolatore dell'attività dei neuroni della via magnocellulare dorsale. Questa via nervosa parte dalla retina e si ramifica verso le aree del cervello coinvolte nell'orientamento spazio-temporale dell'attenzione, una funzione fondamentale nel riconoscimento e nella conversione tra grafema e fonema. Recenti studi hanno dimostrato che i videogiochi di azione, grazie alle loro caratteristiche (stimoli multipli, in rapido movimento e con una imprevedibilità spazio-temporale funzionale al gioco), sono in grado di migliorare le capacità di lettura in quanto 'allenano' le funzioni attentive e di orientamento spazio-temporale del bambino".

Lo studio dell'utilizzo dei videogiochi d'azione per la riabilitazione della dislessia evolutiva procede da alcuni anni e ha dato risultati positivi sia in termini di adesione alla cura da parte del bambino (al quale viene chiesto di giocare con uno strumento terapeutico avvincente e interessante) sia in termini di risultati ottenuti. Questa prima fase del progetto permetterà quindi di valutare l'efficacia di una stimolazione ambientale volta al potenziamento del circuito attentivo a partire dal background genetico dei bambini.

La collaborazione tra i gruppi dell'Istituto Medea e dell'Università di Bergamo permetterà di sviluppare uno studio multi-dominio in grado di indagare gli effetti dei videogiochi d'azione in bambini di età prescolare al fine di comprendere il ruolo di questa intrigante stimolazione ambientale nel potenziare i prerequisiti delle abilità di lettura, nonché le conseguenze sulle vie nervose ad essa associati.

La seconda parte dello studio

La seconda parte dello studio è volta a comprendere, in un modello preclinico, i meccanismi neurobiologici alla base del disturbo e la funzione di specifiche mutazioni genetiche che potrebbero incrementare la vulnerabilità del paziente. Spiega Lucy Babicola, neuroscienziata della Fondazione Santa Lucia Irccs: “In modelli preclinici sarà possibile approfondire gli effetti che l'alterazione di questo gene può avere sulla morfologia e/o la funzionalità del sistema nervoso e come la sua interazione con specifici stimoli ambientali possa incrementare la vulnerabilità all'insorgenza delle difficoltà di lettura, agendo su funzioni cognitive quali attenzione e memoria”. “Approfondire questa relazione permetterebbe di indentificare nuovi marcatori biologici utili alla diagnosi di dislessia evolutiva nonché all'identificazione della vulnerabilità a questo disordine prima dell'insorgenza delle difficoltà di lettura. Comprendere il ruolo che l'ambiente ha nella modulazione dell'attività di questi geni potrebbe inoltre essere utile anche per implementare trattamenti personalizzati”, concludono i ricercatori.