Elezioni 2022, Albertini: "Sala pensa già al dopo Palazzo Marino. Torni a fare il sindaco"

L’ex primo cittadino di Milano: "Da quando è entrato nei Verdi ha fatto solo scelte politiche, condizionato dagli ambientalisti talebani"

Gabriele Albertini

Gabriele Albertini

Milano - "Da parto imminente a gravidanza isterica". Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano, ex europarlamentare di FI ed ex senatore di Scelta Civica, ormai ci scherza su con una battuta. Sì, perché la sua possibile candidatura alle elezioni politiche del 25 settembre per il Terzo polo fondato da Azione e Italia Viva è definitivamente sfumata. Il leader di Azione Carlo Calenda ha preferito candidare come capolista nel collegio proporzionale per la Camera a Milano il piemontese Enrico Costa, suo vice nel partito.

Albertini, la sua mancata candidatura a Milano è un’occasione persa per allargare il consenso del Terzo polo? "A Carlo Calenda ho scritto che rispetto, ma non condivido, la sua scelta minimalista, cioè conservare i seggi blindati per gli uomini di Azione. Non mi ha neppure risposto. La mia candidatura poteva rappresentare un valore in più dal punto di vista elettorale. Certo, il capolista scelto al posto mio, Enrico Costa, è persona degnissima, ma non è milanese. Matteo Renzi, invece, ha insistito per la mia candidatura a Milano ed è stato coerente, perché Italia Viva, ancor prima dell’alleanza con Azione, mi aveva proposto, con una gradita telefonata di Maria Elena Boschi, un posto da capolista a Milano. Calenda e Renzi hanno due modi diversi di intendere la leadership. Preferisco Renzi, che oltretutto ha fatto un passo indietro pur di dar forza al Terzo polo. Con Calenda, però, ho ancora una scommessa in ballo".

Quale? "Io penso che il Terzo polo possa superare il 10%, lui mi ha detto che supererà il 20%. Abbiamo scommesso un pranzo da Carlo Cracco. In ogni caso, al di là di com’è andata la vicenda della mia candidatura, voterò Terzo polo, certamente Renzi come capolista al Senato a Milano e penso che sceglierò il Terzo polo anche alla Camera, ma con qualche interrogativo in più".

Meno di un anno fa lei era tentato di scendere in campo a Milano come candidato sindaco del centrodestra. Ora invece si sarebbe candidato per il Terzo polo. La linea del centrodestra per le Politiche non la convince? La caduta del Governo Draghi è stata uno spartiacque? "Io per tutta la mia vita mi sono riconosciuto nel centro in politica. Ho votato per i liberali, poi, quando Montanelli suggerì di turarsi il naso e votare Dc perché c’era il rischio che il Partito comunista operasse il sorpasso, io lo feci, votai Dc, ma senza turarmi il naso, volendo respirare. Negli anni Novanta, invece, ho votato per Formentini della Lega come sindaco di Milano e poi Forza Italia, Popolo della Libertà, Scelta civica, dove ero candidato nel 2013, mentre l’ultimo voto alle Politiche, quello del 2018, l’ho dato agli azzurri. Ma, con la caduta del governo Draghi, FI è passata da una posizione di centro a una posizione di sudditanza nei confronti delle posizioni sovraniste e demagogiche di Lega e Fratelli d’Italia".

Del centrodestra la preoccupa più l’euroscetticismo di Meloni e Salvini o il rischio paventato dal Pd di un ritorno al fascismo per le radici di FdI? "Penso che il rigurgito del fascismo sia qualcosa di modesto rilievo, sia dal punto qualitativo che quantitativo. Mentre sono più critico sulle posizioni del centrodestra sull’Unione europea, ad esempio sull’emendamento di FdI che prevede di interpretare l’articolo 117 della Costituzione in modo tale che le leggi nazionali prevalgano su quelle comunitarie. Certe critiche all’Europa, inoltre, andrebbero attenuate. Dovremmo essere europeisti per definizione. Ma devo dire che Giorgia Meloni, che ha il partito in maggior espansione di consensi e sembra la premier in pectore, potrebbe prendere decisioni che condivido, come ad esempio Tremonti all’Economia e Nordio alla Giustizia come ministri del prossimo governo. Ha una visione che altri forse non possono permettersi per questione di consensi".

Sempre restando a Milano, cosa pensa delle ultime mosse del sindaco Giuseppe Sala, che era tentato da una discesa in campo a livello nazionale ma alla fine non l’ha messa in atto? "Di Sala, nel primo mandato, ho apprezzato la lealtà verso le istituzioni e l’appartenenza alla sua storia professionale, cioè il sindaco manager che non appartiene a nessun partito. Prima della fine del primo mandato, però, lui ha annunciato l’ingresso nei Verdi e, subito dopo, le sue decisioni si sono basate più su scelte politiche che sulla gestione amministrativa della città. L’esempio tipico di quanto dico è l’incertezza del sindaco sul grande progetto del nuovo stadio a San Siro. Sala si è incartato a causa dei condizionamenti dei verdi talebani, ha preso decisioni solo a metà e non valorizza le risorse che il mondo produttivo mette a disposizione della città. La mia critica a Sala, quindi, è questa: si sta politicizzando e la spiegazione che mi do è che stia pensando a cosa fare per il dopo-Palazzo Marino. Gli suggerisco di fare il sindaco di Milano. Se lo farà bene per dieci anni, a quel punto penserà a quello che può fare dopo".