MANUELA MARZIANI
Cronaca

La denuncia di Soleterre dalla Cisgiordania: "Finché la salute sarà un privilegio negato, nessuna pace sarà possibile"

Damiano Rizzi, fondatore del sodalizio pavese, è volato nella Palestina occupata per aiutare la popolazione e in particolare i bambini: “Qui oltre il 70% delle strutture sanitarie è danneggiato o ha carenza di farmaci, l’acqua potabile scarseggia e il personale medico è sotto pressione”

Il progetto al Beit Jala Hospital di Soleterre (foto di Ugo Pannella)

Il progetto al Beit Jala Hospital di Soleterre (foto di Ugo Pannella)

Pavia, 26 maggio 2025 – Un grido d’aiuto dalla Palestina arriva fino a Pavia. A lanciarlo è Damiano Rizzi, fondatore di Soleterre, volato in Cisgiordania e che lavora per portare aiuto a una popolazione stremata dove anche le cure non sono per tutti. “In Cisgiordania oltre il 70% delle strutture sanitarie è danneggiato – ha detto Rizzi - o ha carenza di farmaci, l’acqua potabile scarseggia e il personale medico sotto pressione”. E il problema è legato agli spostamenti: pochi chilometri di distanza richiedono un tempo infinito da trascorrere sotto il sole, a 40° a causa dei checkpoint.

L’occupazione israeliana blocca la vita anche fuori Gaza - ha aggiunto il fondatore di Soleterre -. Nei checkpoint della Cisgiordania, ambulanze palestinesi si fermano, i pazienti vengono trasferiti da un veicolo all’altro, perdendo tempo prezioso. Serve un’azione umanitaria urgente e una presa di responsabilità politica globale. Non lasciamo sola la Palestina. Fino a quando la salute sarà un privilegio negato, nessuna pace sarà possibile”.

Il lavoro della fondazione che ha sede a Pavia si concentra tra due ospedali che curano i bambini a Beit Jala dove c'è un reparto di oncologia pediatrica e a Ramallah. “La vita è un dono prezioso, un’opportunità unica, anche dove tutto sembra una condanna a morte - ha detto lo psicologo clinico e psiconcologo Damiano Rizzi che a Beit Jala ha fondato il reparto dove si curano 500 bambini l'anno -. I bambini ci chiedono che senso abbia curarsi se poi devono vivere in un contesto di guerra. La risposta non può che essere collettiva. L’accesso alle cure mediche è un diritto umanitario irrevocabile per ogni essere umano ed è invece gravemente limitato dall’occupazione, con conseguenze drammatiche sulla salute pubblica, sulle persone e sui bambini. La popolazione palestinese subisce una violenza strutturale che uccide lentamente, una situazione che la cronaca spesso ignora. E, come mi ha detto un uomo, il silenzio è il principale strumento dell’occupazione perché toglie la libertà necessaria a sviluppare gli anticorpi affinché questi orrori non avvengano più”.