Adozione internazionale, malata da tempo ma peggiorata con il Covid

In dieci anni si è passati da più di 4000 a meno di 1000. Marco Griffini, presidente Aibi: manca una cultura, sempre dalla parte degli adulti e poco dei bambini

Marco Griffini, presidente Aibi

Marco Griffini, presidente Aibi

Milano, 15 febbraio 2021 -  - Il Covid è stato un'ulteriore mazzata sulle adozioni internazionali che nel 2011  erano state 4022 e nel 2019, senza coronavirus, poco più di 900. Nel 2020 addirittura 526. E pensare che  storicamente l'Italia, dopo gli Usa, è paese di adozioni. In mezzo c'è stata la crisi economica e le controversie sulla gestione della Cai, soprattutto nel periodo renziano, con la vicenda Congo che hanno  portato alla divisione e alle coltellate tra gli enti accreditati, a lentezze burocratiche, ricorsi in tribunale e  con la solita campagna social dei leoni da tastiera. Veleno a fiumi che non ha fatto bene, anzi.

“Con l'ex ministro delle Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti e con la Cai però abbiamo lavorato  bene – spiega Marco Griffini – e realizzato anche solo per un anno il coordinamento di tutti gli enti  accreditati, ottenuto bandi di cooperazione e anche una sorta di “ristori”, 50mila euro per aiutarci. Forse non molto ma importante per chi si era trovato a dover mettere i dipendenti in cassa integrazione ma a  mantenere in vita procedure e rapporti internazionali”. E, aggiungiamo noi, come tutto il mondo del  sociale a non poter raccogliere fondi necessari attraverso una serie di manifestazioni pubbliche e  donazioni.  Rimane però un problema di fondo come sintetizza con una punta di amarezza Marco Griffini: “l'adozione è vista male, manca una cultura. Sempre dalla parte dell'adulto e poco dalla parte dei  bambini”. E qui il Covid non ha responsabilità alcuna.