Truffa dei pannelli fotovoltaici, processo a rischio prescrizione

Cambi di giudici e ritardi dovuti alla pandemia stanno portando a questo esito per il raggiro da centinaia di migliaia di euro

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Per la presunta truffa sull’acquisto per diverse centinaia di migliaia di euro di pannelli fotovoltaici, in gran parte non pagati e poi rivenduti, il processo riparte con un nuovo collegio di giudici e rischia in parte il colpo di spugna della prescrizione perché i fatti risalgono a 8 anni fa. Era il 2013 quando i carabinieri identificarono una quindicina di persone ritenendole responsabili di un raggiro messo in atto a livello nazionale di questi impianti allora innovativi e la loro ricettazione.

Il sistema messo in atto sarebbe stato sempre lo stesso: le società costruttrici o che commercializzavano questi impianti fotovoltaici venivano contattate da sedicenti amministratori di aziende del settore per l’acquisto di partite di pannelli solari e accessori stipulando contratti con importi che variavano da 50mila a 200mila euro, poi versavano un acconto pari solitamente al 20 per cento per ottenerne la consegna e una volta ottenuto ciò che volevano, non pagavano il resto dell’importo dovuto. Le indagini, coordinate dalla Procura di Monza, erano partite nel 2013 dal ritrovamento di parte del materiale in alcuni capannoni in provincia di Monza e Milano. Nel 2016 la Procura ha chiuso le indagini, ma da allora erano trascorsi già 4 anni prima dell’avvio del processo. Complice la difficoltà a rintracciare molti degli imputati, che sono espatriati facendo perdere le loro tracce, causando ripetute ricerche e stralci per quelli non reperiti. Nel 2020 finalmente l’apertura del dibattimento. Erano stati sentiti i primi testimoni, alcuni dei quali si sono costituiti parti civili. Come B.A., 62 anni, milanese amministratore di una società del settore. "Abbiamo venduto pannelli fotovoltaici per un importo di quasi 200mila euro - ha raccontato in aula - ma dopo il pagamento di un acconto del 20 per cento e la consegna delle merce, l’acquirente ha fatto perdere le sue tracce. Dopo avere dilatato i tempi con rinvii su rinvii. Non è successo soltanto con un contratto, ma più di una volta. Poi i carabinieri sono riusciti a recuperare e restituirci una parte della merce, ma siamo ancora fuori di 80-90mila euro". Poi è arrivato il lockdown causato dalla pandemia da Covid-19 e in seguito diversi cambi tra i giudici del collegio chiamato a celebrare il processo, che ha causato una serie di rinvii.

Fino a ieri, quando in aula si è ripresentato il maresciallo dei carabinieri che nel 2013 si è occupato delle indagini, per ripercorrere ancora una volta la dinamica degli sviluppi dell’indagine, nata dal ritrovamento di alcune commesse di pannelli fotovoltaici in alcuni capannoni e con la conseguente raffica di denunce dai venditori della merce da tutta Italia che si erano susseguite ed erano state raccolte e verificate dagli inquirenti coordinati dalla pm monzese Stefania Di Tullio, ora rappresentante della pubblica accusa al dibattimento. Gli imputati alla sbarra sono rimasti nel frattempo una mezza dozzina, un’altra soltanto già condannata davanti al giudice monocratico con una sentenza diventata da poco definitiva dopo il ricorso in appello.

S.T.