Monza, il primario sfida le bombe per i bambini di Leopoli

Roberto Brambilla ha deciso di lasciare il posto in una clinica di Monza. Dopo 40 anni di lavoro, come volontario si occupa delle piccole vittime ucraine

Uno degli scatti

Uno degli scatti

Vimercate (Monza e Brianza) - Piccoli corpi dilaniati dalle bombe, o minati dal tumore da strappare all’orrore quotidiano della guerra. Manca tutto, ma le sale operatorie all’ospedale pediatrico di Leopoli non si fermano mai. È questa adesso la casa dell’ex primario brianzolo Roberto Brambilla, chirurgo da 40 anni: ha lasciato il posto in una clinica di Monza per prendersi cura dei bambini in Ucraina. Una scelta radicale maturata dopo anni di volontariato in Soleterre. Prima, ha fatto uscire 130 giovanissimi pazienti dai confini martoriati dagli ordigni russi e ora assistiti in Brianza, a Pavia, Brescia, Milano, poi è sceso in prima linea. "Abbiamo deciso che dovevamo agire sul posto. Ho rassegnato le dimissioni. In una situazione così drammatica non potevo più occuparmi di budget e fatturato – racconta –. Meglio partire".

Così ha fatto le valigie, questa volta per molto più tempo delle missioni passate, e ha chiesto aiuto alla sua città: Vimercate, che gli ha appena spedito 800 chili di farmaci. "Riceviamo materiale dall’Onu e da tutto il mondo, ma arriva il superfluo e non gli strumenti essenziali. I nostri compiti adesso sono due: aggiustare questa situazione e addestrare i colleghi medici e infermieri a utilizzare le risorse nel modo migliore". "Qui, come in qualunque altro posto del pianeta non ci si aspettava la guerra e quel che comporta, a cominciare dal fatto di trovarsi davanti malattie che non si sanno trattare".

Brambilla che è vulnologo, esperto di ferite, ha messo subito la propria competenza a disposizione. "Ma la realtà è durissima anche per un chirurgo di lungo corso. Un po’ perché i bimbi sono tanti, ne arrivano 15 al giorno, ma soprattutto perché la loro situazione è frutto della follia umana. Il conflitto colpisce meno i soldati, più i civili e in particolare i piccoli ed è intollerabile. Abbiamo ragazzi di 10 anni senza gambe, o tetraplegici perché colpiti alla colonna vertebrale, con buchi nello stomaco e nel torace. È un dolore insopportabile. Non siamo di fronte all’imponderabile, l’incidente, o il morbo, ma all’uomo che aggredisce il più fragile riducendolo in queste condizioni. Non si può accettare e non si può stare a guardare".