Omicidio a Monza: "Sì, li avevo sentiti dire che volevano punirlo"

Parla un amico dei due adolescenti accusati della morte di Cristian. Ma gli investigatori stanno ricostruendo dinamica e movente

I due fermati in un frame delle telecamere di videosorveglianza

I due fermati in un frame delle telecamere di videosorveglianza

di Marco Galvani

"Sì, li avevo sentiti dire che avevano quella intenzione". Di andare a punire Cristian per averli trascinati nel tunnel della droga. Si fonderebbe anche nella testimonianza di un amico dei due ragazzini di 14 e 15 anni fermati per la morte di Cristian Sebastiano, l’accusa di omicidio premeditato aggravato.

Anche se negli interrogatori di domenica notte, poche ore dopo il delitto, i due hanno raccontato un’altra verità: il quattordicenne ha riferito di essere andato con l’amico dal 42enne con la scusa di comprare droga, ma con l’intenzione di non pagarla mostrando un coltello da cucina. Una rapina, quindi.

L’appuntamento - poco prima delle 13 di domenica - sotto uno dei portici del complesso Aler di via Fiume in cui Sebastiano viveva insieme con i genitori.

Ma il loro piano non aveva fatto i conti con la reazione della vittima: Cristian, sempre secondo il racconto del quattordicenne, alla vista del coltello avrebbe iniziato a urlare ripetutamente il nome del suo aggressore innescando in lui una reazione aggressiva per timore che lì nel quartiere, dove tutti e tre sono conosciuti, qualcuno degli inquilini si affacciasse alle finestre attirato dalle grida e li vedesse. E’ in quel momento che il ragazzino ha iniziato a colpire.

Cristian avrebbe tentato una fuga disperata, ma secondo fonti investigative, sarebbe intervenuto l’amico quindicenne a bloccarlo mentre lui continuava ad affondare la lama nel corpo del 42enne. E risulterebbe anche confermato il tentativo dei due ragazzini di spostare sotto i portici del palazzo, in un luogo meno visibile, il corpo ormai senza vita di Sebastiano.

A conferma, comunque, di un coinvolgimento di entrambi, oltre alla confessione del 14enne che si sarebbe addossato l’intera responsabilità del delitto, ci sarebbe anche quella del 15enne che avrebbe sempre parlato al plurale mentre raccontava al magistrato e ai carabinieri il film dell’orrore. Iniziato all’ora di pranzo di domenica. Il quattordicenne che rientrando a casa dopo aver portato a spasso il cane, si presenza con l’amico che di lì a poco sarebbe diventato suo complice. Mangiano insieme e poi escono. Alle 12.44 l’omicidio.

Quindi, il ritorno a casa cercando di non dare troppo nell’occhio. Perché San Rocco è un quartiere grande e popoloso, ma è come un paese in cui tutti si conoscono e sanno tutto di tutti.

Saranno le testimonianze dei residenti e le telecamere della zona ad aiutare i carabinieri del Nucleo investigativo e della Compagnia di Monza a identificarli. E a ritrovare, nei rispettivi appartamenti, le prove della loro colpevolezza. Quando i militari suonano il campanello i due ragazzini non ci sono. Tornati a casa dopo il delitto, si sono ripuliti e cambiati.

Nell’appartamento del 14enne, dentro la lavatrice c’erano ancora i vestiti sporchi di sangue, mentre in un armadio era nascosta l’arma del delitto, ripulita. Nel pomeriggio di domenica sono usciti. Come se nulla fosse successo. Il 14enne era in compagnia di un altro ragazzo del quartiere e in tarda serata è stato richiamato a casa dal fratello maggiore che, davanti ai carabinieri, lo ha raggiunto con il telefonino. Anche il 15enne ha trascorso un pomeriggio come gli altri. Quando si ritrova i carabinieri in casa, il padre prova a contattarlo. La linea prende poco, a tratti il telefonino del ragazzo risulta irraggiungibile. Probabilmente perché sul treno. Di ritorno da Milano. Prima di finire in caserma con l’amico. E poi, entrambi, nel carcere minorile di Torino. In attesa dell’udienza di convalida del fermo.