Imprenditore fallito per colpa dello Stato, politici e rabbia non fermano lo sfratto

Sergio Bramini stritolato dai mancati pagamenti dello Stato allontanato dalla sua villa tra le urla e i fischi di 300 persone

Sergio Bramini sfrattato

Sergio Bramini sfrattato

Monza, 19 maggio 2018 - A nulla sono servite le promesse di Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Incarico di Governo, consulenza, addirittura una “Legge Bramini” come annunciato dal leader della Lega Nord. Ma alla fine gli agenti in tenuta antisommossa, accolti tra i fischi di 300 persone arrabbiatissime, l’hanno avuta vinta. Sergio Bramini nel tardo pomeriggio di ieri è stato sloggiato dalla sua villa e unica casa, a Monza. Nel nulla è finita anche la trattativa in extremis tentata grazie al coinvolgimento di un misterioso imprenditore di Monza (si dice Pierluigi Brivio, ex socio del gruppo del centro commerciale Il Gigante) che ha versato un assegno circolare da 480mila euro con cui coprire i debiti con la banca contratti da Bramini per salvare la sua azienda. Il caso Bramini occupa le cronache da mesi. Ex imprenditore del settore smaltimento rifiuti con la sua Icom, capace di fatturare 5 milioni di euro all’anno, era stato costretto a fallire nel 2011. Pubbliche amministrazioni del Sud avevano accumulato debiti nei suoi confronti per oltre 4 milioni di euro. Lui, Bramini, pur di non chiudere e lasciare a casa i suoi 32 dipendenti, aveva acceso un mutuo sulla propria casa. 

Tutto inutile. Dopo aver portato i libri in Tribunale, era partita una contestatissima procedura fallimentare. La sua villa (30 stanze, piscina riscaldata coperta, due box, finiture di pregio, taverna) era stata valutata appena un milione e 600mila euro. Ed era stata messa all’asta a 667mila euro. Prima asta deserta e valore sceso di un altro 25% a 500mila euro. Inutili nel frattempo i tanti ricorsi presentati da Bramini. Finché il giudice fallimentare ha chiesto lo sloggio immediato dalla villa, saltato una prima volta ad aprile dopo il sit-in di protesta. Ieri l’epilogo. Inutili le mosse del senatore grillino Gianmarco Corbetta e del deputato leghista Andrea Crippa di eleggere a proprio ufficio politico la casa di Bramini. I magistrati si sono opposti, stigmatizzando il loro comportamento e persino la «pressione mediatica».

L'ultima giornata è stata convulsa. Alle 11 Salvini ha annunciato, come già il suo collega Di Maio la sera prima, che «lo Stato non può continuare a non pagare i suoi debiti e al Governo metterò mano alle esecuzioni immobiliari, alle aste che premiano gli amici degli amici. E al prossimo ministro dell’Interno chiederò di usare le forze di polizia per altri compiti più importanti». Poi l’ultima trattativa con il curatore fallimentare. «Non c’è soluzione», ha però annunciato sconsolato Bramini alle 15.14: «Il curatore fallimentare non ha accettato il nostro assegno, ma io non esco». Le 300 persone assiepate nel giardino e nella casa dell’imprenditore sono esplose. Urla, fischi, l’Inno d’Italia cantato a squarciagola da oltre trecento persone. Bramini e alcuni sostenitori si sono legati con un lenzuolo. Diversi politici si sono seduti sul loggiato. Il deputato del M5S Daniele Pesco si è barricato in casa. Ma alle 18.20 Bramini è uscito sulla sua Fiat 500 con la moglie: «Non mi piego, mi devono spezzare», ha promesso.