Israele-Iran, Russia-Ucraina, Cina-Taiwan: tre guerre spaventano il mondo e le Borse

Sono i fronti caldi che minacciano la pace sul pianeta per il 2022. Non coinvolte militarmente ma chiamate a intervenire Usa ed Europa

Un esercitazione militare a Taiwan

Un esercitazione militare a Taiwan

Sono tre i fronti caldi, anzi roventi, che minacciano la pace nel mondo, alla vigilia del Natale. Il Medio Oriente, con la pesante crisi tra Israele e Iran, dopo il sostanziale fallimento dei negoziati di Vienna sul nucleare, dove Teheran era chiamata a rinunciare, di fatto, al suo programma atomico. Ma lo stop agli ispettori negli impianti di arricchimento dell’uranio hanno fatto precipitare una situazione già in stallo.  Il secondo è quello del Donbass, la regione separatista filorussa in Ucraina, dove le tensioni sono salite a temperature così alte da vedere ammassate le truppe di Putin a ridosso della frontiera di Kiev. I satelliti Usa e le immagini della Cia danno romai per imminente un’invasione di Mosca nel Paese che ha chiesto di entrare nella Nato. Lo zar smentisce, ma le tensioni con Europa e America sono ormai alle stelle.  Ultimo ma non secondario fronte, quello cinese. Il gigante asiatico da tempo stringe la morsa su Taiwan, considerandola repubblica separatista e rivendicandone l’annessione. Anche qui gli alleati Usa del piccolo Stato minacciano fuoco e fiamme, ma - nonostante gli appelli alla soluzione politica lanciati anche dal Dalai Lama, non certo un amico di Pechino - i negoziati non sono nemmeno mai iniziati. Vediamoli nel dettaglio.

Israele contro l'Iran: l'attacco preventivo

Tra Israele e Iran la pace si allontana
Tra Israele e Iran la pace si allontana

Dalla memoria dell’Olocausto nazista alla paura dell’Olocausto nucleare per gli ebrei,  Israele è il primo fronte caldo, in questi giorni. Tel Aviv è alle prese con un dilemma a dir poco amletico: accettare che l’Iran si doti della bomba atomica, o avviare una pericolosissima guerra in Medio Oriente per scongiurarne il rischio (con tutte le incognite anche sulla tenuta finanziaria dei listini di borsa mondiali)? La domanda infiamma anche l’Europa e gli Usa, dopo la svolta degli ultimi giorni. L’impantanarsi dei negoziati sul nucleare iraniano ha spinto infatti sraele a mettere esplicitamente in campo l’opzione militare per impedire a Teheran di dotarsi della bomba atomica. La diagnosi sullo stato del dialogo in corso a Vienna è apparsa sconfortante sia per il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, sia per le controparti dei tre Paesi europei coinvolti nel negoziato (Francia, Germania e Gran Bretagna), incontrate in un vertice ristretto al G7 di Liverpool. 

Lo stallo nel negoziato

“Non c’è alcun progresso, a causa dell’offerta del governo iraniano, i negoziati sono tornati indietro di sei mesi”, ha constatato il neo ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock e “il tempo sta scadendo”. Ancora più convinto il ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, che è andato negli Stati Uniti per convincere Washington ad aumentare la pressione sulla Repubblica Islamica, ma ha rivelato al contempo di aver ordinato all’esercito di prepararsi a un possibile attacco militare contro Teheran.  Un cambio di rotta dunque, poiché Gantz si era detto dapprima faavorevole alla riapertura dell’ Jcpoa, l’accordo, stracciato dagli Usa nel 2018, che era stato stretto per monitorare il programma nucleare civile iraniano e assicurarsi che non sviluppasse l’arma atomica. Da Teheran non arrivano notizie rassicuranti. Il nuovo presidente dell’Iran, l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, non ha certo riportato il negoziato sul promettente binario percorso dal predecessore, il pragmatico Hassan Rohani. 

Il presidente iraniano Ebrahim Raisi al tavolo di Vienna
Il presidente iraniano Ebrahim Raisi al tavolo di Vienna

L'arricchimento dell'uranio

Al contrario, negli ultimi mesi l’arricchimento dell’uranio ha subito un’accelerazione preoccupante e gli ispettori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) non hanno più l’accesso necessario alle centrali. I colloqui di Vienna sembrano dunque in stallo e gli altri Paesi hanno compreso che Teheran li sta “prendendo in giro” e “sta prendendo tempo perchè sta giocando a poker con una cattiva mano”. Gantz avrebbe aggiornato il Pentagono sulla scadenza necessaria alle forze armate dello Stato ebraico per essere pronte ad attaccare l’Iran. Da Washington, pare, “non è giunto alcun veto”. Ma dalle autorità Usa è giunto anche un invito a fermare gli insediamenti di coloni nei territori palestinesi per favorire una soluzione con “due popoli e due Stati”. Un equo scambuio, insomma. Secondo Gantz, Teheran sta ammassando truppe nell’Ovest “per attaccare nazioni ed eserciti nel Medio Oriente e Israele in particolare”. 

Il ruolo dei Paesi arabi

“Ci stiamo preparando per ogni simile tentativo e faremo tutto il necessario per proteggere i nostri cittadini e le nostre risorse”, ha aggiunto il ministro. La tesi è precisa. L’Iran “non è solo una minaccia alla nostra sicurezza fisica” ma “una minaccia concreta per il nostro stile di vita e i nostri valori condivisi. Nelle sue aspirazioni egemoniche l’Iran cerca di distruggere tutte le tracce di libertà, dignità umana e pace nel Medio Oriente e oltre, e il programma nucleare è uno strumento per il suo disegno egemonico”. Per contrastare questo disegno, potrebbe rivestire  un ruolo chiave la cooperazione tra Israele e i Paesi arabi che hanno normalizzato le relazioni con lo Stato ebraico. La recente esercitazione congiunta nel Mar Rosso di Usa, Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein parla chiaro.

Russia-Ucraina: la crisi del Donbass

I presidenti ucraino Volodymyr Zelensky, francese Emmanuel Macron e russo Vladimir Putin
I presidenti ucraino Volodymyr Zelensky, francese Emmanuel Macron e russo Vladimir Putin

L’allarme arriva da Ovest. Il Cremlino starebbe pianificando un’offensiva in Ucraina su più fronti, forse da attuare  all’inizio del prossimo anno, utilizzando 100 gruppi tattici di battaglione con  175 mila soldati, blindati, artiglieria e altro equipaggiamento. Iil Washington Post cita dirigenti Usa e documenti non classificati dell’intelligence americana, tra cui immagini satellitari. Documenti da cui emergerebbe l’ammassamento di forze russe proprio in quattro aree lungo il confine ucraino e la presenza al momento di 50 gruppi tattici di battaglione. «I piani russi prevedono una offensiva militare contro l’Ucraina all’inizio del 2022 con una scala di forze doppia di quella che abbiamo visto la scorsa primavera durante le esercitazioni rapide russe vicine ai confini ucraini», ha confidato un dirigente del governo Usa.

Gli schieramenti in campo

Gli Usa tuttavia valutano che attualmente Mosca abbia 70 mila soldati vicino al confine con l’Ucraina, contro i circa 94 mila indicati da Kiev. Il monito degli 007 americani non era stato mitigato dal summit virtuale tra Joe Biden e Vladimir Putin. Russia e Ucraina si accusano a vicenda di aver spostato grossi contingenti di truppe a ridosso dei confine dell’autoproclamata Repubblica e l’ipotizzato ingresso di Kiev nella Nato che per Mosca “aggraverebbe ulteriormente la situazione”. 

Un tank delle milizie pro-russe in Ucraina
Un tank delle milizie pro-russe in Ucraina

Putin: "Genocidio a Kiev"

Putin parla senza mezze misure di “genocidio“ in Ucraina e il Cremlino vede  sempre più vicina una possibile guerra civile in Ucraina: “Siamo davanti ad atti provocatori lungo la linea di contatto. Sono le forze armate dell’Ucraina che hanno intrapreso un percorso verso l’escalation di questi atti provocatori, e stanno continuando questa politica. Queste provocazioni tendono a intensificarsi. Tutto questo sta creando una potenziale minaccia”. Joe Biden non ignora i potenziali sviluppi di una crisi e ha avvertito l’omologo russo delle conseguenze economiche “devastanti”, in termini di sanzioni “senza precedenti“, che Mosca dovrà affrontare se invaderà l’Ucraina.  Biden ha anche sottolineato che se sara’ necessario, dovranno essere inviate piu’ truppe Usa e Nato sul versante orientale, perche’ hanno il sacro obbligo di difendere i Paesi da un possibile attacco russo. “Continueremo a fornire” cio’ che e’ necessario per “le capacita’ di difesa del popolo ucraino”, ha aggiunto.

Il ruolo degli inglesi

Anche  il ministro degli Esteri britannico, Liz Truss ha detto con chiarezza che ci saranno enormi conseguenze per la Russia nel caso di un’invasione dell’Ucraina”. Per cercare una mediazione, Karen Donfried, assistente del segretario di Stato Usa per gli Affari Europei, si rechera’ a Kiev e a Mosca per discutere delle tensioni legate al dispiegamento di truppe russe al confine ucraino.  Donfried si tratterra’ nelle due capitali da lunedi’ e mercoledi’ per incontrare alti funzionari dei due governi e “rafforzare l’impegno degli Stati Uniti per la sovranita’, l’indipendenza e l’integrita’ territoriale dell’Ucraina”. 

Cina-Taiwan: il gigante e il bambino

Un'area dell'arsenale militare di Taiwan
Un'area dell'arsenale militare di Taiwan

Anche Taiwan rischia di subire un’invasione da parte della Cina, secondo il  quotidiano britannico Guardian, che cita l’ammiraglio Philip Davidson, capo del Comando Usa dell’area Asia-Pacifico con sede alle Hawaii. “Temo che la Cina stia accelerando verso l’obiettivo di soppiantare il ruolo degli Usa sull’isola - rileva il comandante nell’area parlando alla Commissione sulle forze armate - Penso che questa minaccia si manifesterà nei prossimi sei anni”. L’aumento della presenza militare cinese nell’area di Taiwan, autonoma dal 1949,  ha in effetti indebolito il delicato equilibrio tra i due vicini e il timore  del generale “è che gli Usa non possano agire efficacemente in caso di invasione“. Il ministro degli Esteri cinese Wang Li aveva ribadito, recentemente, che Taiwan è una parte “inalienabile” del territorio cinese e che i due lati dello Stretto “saranno riunificati”. Chiedendo agli Stati Uniti di “capire l’alta sensibilità della questione” e di “non giocare con il fuoco”.

Il monito agli Usa: "Statene fuori"

La Cina pretende dunque la “non ingerenza” nella questione Taiwan, ovvero nella volontà di Pechino di arrivare alla riunificazione delle due Cine, con le buone o con le cattive. Ma gli Usa di Biden rivendicano il  ruolo di “difensori” della piccola isola e di argine alla supremazia cinese nell’area. Biden ha detto chiaro e tondo che gli Stati Uniti difenderanno Taiwan da un’aggressione di Pechino. Abbiamo preso un sacro impegno per quel che riguarda la difesa degli alleati della Nato in Canada e in Europa e vale lo stesso per il Giappone, per la Corea del Sud e per Taiwan”.  

Un esercitazione militare a Taiwan
Un esercitazione militare a Taiwan

La storia dei rapporti con gli Usa

Gli Usa hanno riconosciuto la Repubblica popolare cinese dal 1979, ma il Congresso americano sostiene allo stesso tempo la fornitura di armi a Taiwan per la sua autodifesa. L’isola di Formosa ha un proprio governo dalla presa del potere comunista nella Cina continentale nel 1949, quando Chiang Kai-shek e l’esercito nazionalista si rifugiarono a Formosa staccandosi di fatto dalla Cina continentale. Pechino considera questo territorio una delle sue province e minaccia con toni sempre più in crescendo di usare la forza nel caso in cui l’isola proclami formalmente l’indipendenza. 

Con le buone o con le cattive

Il presidente cinese Xi Jinping, tuttavia, ha recentemente riaffermato il suo desiderio di ottenere una riunificazione “pacifica”, anche se nelle ultime settimane nei cieli di Taiwan si sono affacciati decine di aerei da guerra cinesi, in minacciose dimostrazioni di forza. Da Taipei arriva l’apprezzamento per la presa di posizione del presidente americano. Gli Stati Uniti hanno dimostrato un sostegno “saldo come una roccia” a Taiwan da quando Joe Biden è arrivato a gennaio alla Casa Bianca, ha detto il portavoce della presidenza, Xavier Chang. Irritazione invece dalla Cina che avverte che non accetterà compromessi sulla questione Taiwan e avverte di non inviare “segnali sbagliati all’isola per non danneggiare gravemente le relazioni Cina-Usa”.