ALESSANDRO LUIGI MAGGI
Inter

Inter, il primo sorriso dopo Monaco. Segnale Lautaro, ma è un lungo predominio sterile

I nerazzurri tornano al successo dopo il cappotto con il PSG. Un'ora e più di controllo senza tirare in porta, poi Lautaro regala una gemma

Lautaro Martinez in gol contro i gipponesi dell'Urawa Red Diamonds

Lautaro Martinez in gol contro i gipponesi dell'Urawa Red Diamonds

Ci vuole una meraviglia, quella di Lautaro Martinez, quindi la giocata di Valentin Carboni per traslare l’Inter da un’umiliazione storica al primo sorriso post Monaco di Baviera. Giusto che sia finita così, con la magia del capitano a premiare quello che comunque è stato un dominio totale e costante, e il “figlio” di Christian Chivu a insaccare la rete della vittoria.

Non è un'Inter brillante quella del Lumen Field di Seattle, non può esserlo alla fine di giugno di una stagione massacrante e ingrata, ma comunque padrona, dominante. Con i giapponesi quello che manca è l’ultimo passaggio, la lucidità nella scelta decisiva. Che sia l’assist, che sia il tiro in porta. Lautaro prende una traversa nel primo tempo, poco prima Zalewski perde un pallone a centrocampo, Carlos Augusto e Sommer si fanno tagliare fuori dal vantaggio Urawa.

Chivu, che ha voluto un’Inter con tre punte, o presunte tali, non si distacca troppo dal predecessore finito in terra araba. Tanto possesso, pochi uno contro uno (anche se Luis Henrique, in quelle poche occasioni, punta e punta eccome), un po’ di comprensibile lentezza, nessun tiro in porta in più di un'ora di gioco. E qui i giapponesi giocano la loro gara: raccolti, attenti, più aggressivi sulle linee di passaggio che nell’uno contro uno. Per poi aprirsi al contropiede. Non è una critica, è una constatazione, d’altronde i livelli in campo, anche con una squadra sfiancata e meno motivata, sono ben diversi. Poi c’è l’orgoglio. Sia chiaro, quella di Lautaro non è una grande partita. All’Inter continua a mancare un riferimento in area, un giocatore in grado di essere punto di appoggio nei novanta minuti. Ma l’argentino è leader, sempre e comunque. Nel lottare largo in fascia, nel recuperare palloni come un centrocampista, nell’infine ribadire la sua enorme qualità (estemporanea, anche), inventandosi una rovesciata fuori equilibrio per il pareggio, con l’avversario che gli tira anche la maglia. Sono segnali, per tutti. L’Inter che pareva pronta a tornare in Italia e staccare la spina si riaccende, Valentin Carboni nel finale trova il piattone del vantaggio che riapre ogni discorso. Promossi e bocciati? Non piace Zalewski, che non riesce a dare qualità sull’esterno e sbaglia tanto. Continua a non impressionare anche Dimarco, e Asllani non lascia il segno in una manovra sterile che non produce tiri in porta sino alla sua uscita. Mentre Pio Esposito è dinamico e Carboni ha la personalità per metterla dentro davanti al mondo. L’Inter non brilla, ma è ancora viva.

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