Arturo Brachetti: "Io, inguaribile Peter Pan a 63 anni"

Il grande maestro di trasformismo con "SOLO", dal 21 al 30 gennaio al Teatro degli Arcimboldi, nei panni di 60 personaggi

Il grande maestro di trasformismo Arturo Brachetti sul palco all’Arcimboldi

Il grande maestro di trasformismo Arturo Brachetti sul palco all’Arcimboldi

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Milano - Dieci, cento, mille Brachetti. A rincorrer sogni e stupori. Prima di prendere il volo sugli spettatori. A bocca aperta. Perché è un viaggio nella magia "SOLO", dal 21 al 30 gennaio al Teatro degli Arcimboldi, che proprio oggi compie vent’anni. Tante le iniziative per festeggiare (nel weekend concerti, corsi, visite guidate). Mentre sul palco ecco il gran maestro del trasformismo. Qui a sfidare sé stesso. In una corsa a perdifiato fra oltre 60 personaggi. Ma c’è spazio anche per numeri di mimo, ombre cinesi, sand painting, raggi laser e videomapping.

Brachetti, cosa aspettarsi da "Solo"? "Un carro armato di sorprese. Giriamo con due tir di dieci metri con sopra un’infinità di strumenti per creare un colpo di scena ogni 20 secondi. Di solito contiamo una sessantina di applausi".

Più o meno come i personaggi che interpreta. "Esattamente. Nei primissimi minuti ci sono Hulk, Batman, la Signora in Giallo, Spock di Star Trek, Wonder Woman e non so quanti ne sto dimenticando. Sul palco entro in una sorta di casetta della memoria e ogni stanza mi proietta un mondo legato ai miei ricordi o ai nostri immaginari. Dietro una porta ci sono ad esempio tutte le icone pop, mentre le favole si nascondono nella camera dell’infanzia. Una dozzina di cavalli di battaglia, un best of della mia carriera".

Quell’ombra che compare in scena? "Rappresenta la mia parte razionale, quella che ti spinge a tenere i piedi per terra. Alla fine riesco a farci pace. Ma io rimango un Peter Pan di 64 anni, il mio destino è prendere il volo".

Dopo un po’ non le manca il fiato? "Vado in palestra tre volte alla settimana, senza contare la dieta ferrea. Il mio produttore americano mi ripeteva che ero l’artista più asceta con cui avesse mai lavorato. Ma credo che la differenza la faccia conoscere la propria missione".

Cosa intende? "È una cosa che ho imparato quando ho lasciato il Seminario. Grazie a un prete un po’ mago che mi disse: "Non importa che tu abbia la vocazione per diventare sacerdote, ma è importante capire qual è la tua di vocazione". Ho fatto tesoro di quel pensiero. E a me oggi non costa nulla dover mangiar riso in bianco per una settimana. Vengo ripagato dagli applausi, dal successo".

Ha mai messo in discussione questa vocazione? "No, è come se tutti i puntini fossero stati messi lì da qualcuno, ho dovuto soltanto seguirli. Non rimpiango nulla. D’altronde è iniziata subito bene. Da ragazzo sognavo di fare il mio numero in un music-hall a Parigi. E a 21 anni ero già lì, davanti a Peter Sellers e Liza Minnelli. A quel punto alzi sempre più l’asticella. In alto però! Se va male arrivi comunque a metà".

La serata più bella? "Domani".

Risposta da professionista… "Ma è vero. Io posso mettermi a cambiare le luci nell’ultima replica della tournée. Staccarsi da terra...un momento che ogni sera mi fa impazzire nonostante sia già caduto tre volte. Vedi la platea che si allontana, la galleria che si avvicina. Ti senti leggero. E capisci di vivere un sogno condiviso".  

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