De André e Pfm di nuovo insieme. Auguri Fabrizio

Nel giorno dell’80esimo compleanno dell’artista incontro con Di Cioccio, Djivas, Premoli intervistati dal direttore Sandro Neri

Pfm

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Milano, 18 febbraio 2020 -  “Belìn, allora lo faccio…”. Abituato a viaggiare in direzione ostinata e contraria, Fabrizio De André non esitò un attimo a dire di sì una volta capito che andare in tour con la Pfm sarebbe stato un azzardo. Era il 1978 e risultato di quell’impeto ribelle alle convenzioni del tempo sta nelle immagini di “Fabrizio De André & Pfm. Il concerto ritrovato”, il docufilm di Walter Veltroni in visione nelle sale fino a domani, che tre acclamati protagonisti di quell’evento quali Franz Di Cioccio, Patrick Djivas e Flavio Premoli raccontano stasera all’Anteo (ore 21.40) intervistati dal direttore de “Il Giorno” Sandro Neri. Proprio oggi, infatti, “l’amico fragile” avrebbe compiuto 80 anni e la concomitanza trasforma l’incontro in un omaggio alla sua svettante figura di uomo e d’artista. Di Cioccio e Djivas se ne dicono convinti.

Soddisfatti del risultato? Di Cioccio: "Sì perché, al di là dei limiti tecnici di una ripresa fatta con telecamera fissa ad una certa distanza dal palco - perché lui non voleva avere nessuno intorno - la cosa che esce dal film è la forza di Fabrizio. La sua voglia e la sua gioia di sentirsi parte di una band. Così felice l’ho visto solo negli scatti di Guido Harari".

Ne trarrete un album dal vivo? Djivas: "La scelta spetta alla Sony che, dopo il ritrovamento dei nastri, ha prodotto il film. Dvd e Blue Ray, però, arriveranno di sicuro perché si tratta di un vero e proprio bootleg “da vedere”".

L’avete girato il 3 gennaio del ’79 alla Fiera di Genova. Di Cioccio: "Sì, praticamente in presa diretta, senza correzioni né aggiunte, ma solo le migliorie sonore che consente oggi la tecnologia. Sembra di essere in un club, perché c’è la compattezza sonora di quando suoni in quel tipo di cornice. In certi momenti è un po’ come ascoltare Springsteen con la E-Street Band; non contano tanto le individualità dei musicisti, ma l’impatto".

Un sogno irrealizzato? Di Cioccio: "Su quel tour mi sarebbe piaciuto girare un film “on the road”, come quelli degli americani, per far emergere l’umanità che c’era dietro e che, forse, solo Harari è riuscito a documentare con le su foto. Il pubblico aveva spesso un’immagine seriosa di De André che non corrisponde a realtà; lui, infatti, a modo suo era molto rock’n’roll".

Pure nella vita della Pfm c’è un telefonino sepolto nella terra da riesumare come quello di De André nel finale del film? Di Cioccio: “Vorrei riavere lo sgabello da batterista. Oppure i miei amatissimi crotali che, per riavere il suono di allora, ho dovuto far rifondere appositamente dalla Zildjian. Chissà dove se ne stanno “sotterrati”".  

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