Diego Vincenti
Cultura e Spettacoli

Paolo Ruffini, teatro senza barriere: “La libertà? Cultura e autoironia”

L’attore-regista a Milano con “Din Don Down” e i ragazzi di Mayor Von Frinzius: “Il pubblico si commuove”

La locandina dello spettacolo Din Don Down

La locandina dello spettacolo Din Don Down

Deve essere l’espressione da (eterno) ragazzo che confonde. Insieme ai cinepanettoni. Ci si fa l’idea che il tema principale di Paolo Ruffini siano le bellezze di Livorno, che passeggiano nel quartiere Venezia. Narrazioni superficiali. Visto che nel frattempo con la sua Vera Produzione ha messo in piedi un’oliatissima macchina organizzativa teatrale. Con cui si addentra in territori complessi: bullismo, Alzheimer, diversità. Come succede dal 2 al 7 gennaio al Teatro degli Arcimboldi di Milano con “Din Don Down”, spettacolo nato in collaborazione con Mayor Von Frinzius, compagnia di attori con disabilità. Un happening. Divertito. Che si prende gioco del politicamente corretto, ragionando di spiritualità.

Ruffini, come sta andando “Din Don Down”?

“Un trionfo, ne vado orgoglioso. Continuiamo ad aggiungere repliche. E vedo gli spettatori commossi di fronte a questa parrocchia anomala, scorrettissima. Con i ragazzi vestiti da suore e le ragazze da preti. Insieme facciamo un viaggio alla ricerca di (D)io per capire se ognuno di noi è davvero la sua parola più scintillante”.

Il politicamente corretto non le sta simpatico.

“È una malapianta. Il problema è che le persone si prendono troppo sul serio, non praticano l’(auto)ironia, non sono più abituati a essere leggeri. Facendo emergere la violenza. E non è questione di Chiesa o di Stato. Il papa ha pure invitato i comici in udienza, sottolineando il valore delle risate. E così Mattarella. Il problema è la massa anonima di indignados. Come se io mi inalberassi per le battute sui quarantaseienni bianchi livornesi”.

Il caso Tony Effe?

“L’arte deve avere la libertà di disturbare. Punto. È un concetto base, lapalissiano. Non mi interessa che riguardi Tony Effe, Vasco, Bertolucci o Caravaggio. E invece tutti si sentono legittimati a commentare qualsiasi cosa, dallo spettacolo ai vaccini. Oggi Einstein avrebbe meno seguito di Gigi da Vimodrone. È la prima volta in cui il futuro dell’uomo non è determinato da chi ha conoscenza ma da chi non sa niente. Una forma di fascismo per cui anche un sindaco si ritrova ostaggio di tre associazioni di settore”.

Il rapporto con la critica?

“È la professionalità che fa la differenza. Quando ho fatto i cinepanettoni i critici mi hanno massacrato. Ma va bene. Io gli schiaffi li prendo dai maestri, ma non dagli alunni come me. Una situazione surreale, che oggi spinge tanti a lavorare con il terrore di urtare la sensibilità di qualcuno. Così però non si può andare avanti. Me ne sono accorto l’altro giorno parlando con una sua collega”.

Cosa è successo?

“Le ho detto che a Milano ci sono piste ciclabili bellissime ma è una città ancora piena di barriere architettoniche e non capisco perché non sia stata data precedenza a questo problema. Pare che però fosse una riflessione troppo azzardata da scrivere perché i ciclisti se la sarebbero presa. Siamo a questo punto”.

Un ragazzino con disabilità è stato invece allontanato da teatro perché faceva rumore.

“Non è certo la prima volta. Manca una sensibilità condivisa. Si sentono ancora commenti volgari del tipo: “In fondo sono come noi””.

Da quanto collabora con Mayor Von Frinzius?

“Dieci anni. Esperienza incredibile, è il contesto in cui lavoro meglio. Per mezz’ora ci abbracciamo, poi si chiacchiera di tutto. Dicono che abbiano problemi cognitivi. Sarà. Se poi l’intelligente è uno come Putin, allora forse l’intelligenza è sopravvalutata. Per tanti rimangono comunque i “poverini” e fino a non troppo tempo fa la loro aspettativa di vita era di 40 anni. Peccato che li legavano ai termosifoni, forse anche io e lei avremmo qualche problema in quelle condizioni”.

Io di certo. Lei invece pare avere forze inesauribili.

“Non ho figli, al limite li noleggio. E questo aiuta. Non faccio poi distinzione fra vita e lavoro: per me è tutto un gioco serissimo. Sono bulimico di curiosità, mi appassiono ai progetti, ai temi. E con la mia casa di produzione posso farlo in libertà, senza dovermi confrontare con nessuno. Nemmeno il ministero mi dà soldi. Mi concentro solo su quello che mi diverte e che mi interessa”.

Si sente sottovalutato?

“Per me la frase “pensavo fosse un coglione” è un grandissimo vantaggio. I miei colleghi che lavorano per Amelio o Sorrentino sono molto più stressati, appena sbagliano un congiuntivo è un disastro. Io posso sorprendere. E ho capito che la cultura rende liberi. Me lo ripeteva la professoressa Galeone di greco. Però all’epoca non l’ascoltavo”.

Pensava ad altro?

“Eh be’. Solo che la cultura serve anche a conoscere le ragazze. Un vantaggio enorme. Dovrebbero dirtelo da ragazzino, è un argomento forte”.