
Davide Lorenzo Palla, 43 anni. Venerdì sarà in scena al Castello Sforzesco
Milano – La prontezza è tutto. Come afferma Amleto, adolescente ferito. Che vede i fantasmi e immagina vendette. Esistenzialista come solo un ragazzo può essere: privo di strutture, in quel delirio di palcoscenico che è la vita. Figurarsi quando ti dipingono addosso una ragnatela di cicatrici e di tormenti. Ma la prontezza è tutto anche a teatro. Come sa bene Davide Lorenzo Palla, interprete (e autore) anomalo, fosse solo che da oltre un decennio porta i suoi spettacoli nei luoghi più impensabili, sviluppando un personalissimo linguaggio di confronto con i classici trasformati in monologhi polifonici. Aperti alla realtà. Ironici. Sempre in dialogo con il pubblico. Lui l’artefice di quella Tournée da Bar che ormai conta centinaia di repliche fra locali, case del popolo, circoletti. Spesso lasciandosi ispirare dalle tragedie shakesperiane. Un format dal successo strepitoso. In bilico tra forma e improvvisazione. Dove il concetto di “prontezza“ assume declinazioni inedite, tra Moscow Mule e birre. Ogni tanto però ci si concede un orizzonte più istituzionale. Come succede venerdì al Castello, per il palinsesto di Milano è Viva. Con Davide Lorenzo Palla a riproporre il suo “Amleto” accompagnato dal polistrumentista Tiziano Cannas Aghedu.
“Ho avuto tre maestri - spiega l’attore milanese - Massimo Castri mi ha trasmesso l’importanza del testo, dello studio; Popolizio quella della parola, l’uso della voce; mentre Paolo Rossi è stato un esempio per il dialogo con il pubblico e l’improvvisazione. Il linguaggio di Tournée da Bar cerca di unire questi tre mondi, privilegiando sempre il racconto e il confronto diretto con gli spettatori, pur mantenendo i grandi temi shakespeariani. Credo che la chiave sia la sincerità di un’operazione che ogni sera rompe la quarta parete e si muove fra registri differenti, intervallando momenti di pathos ad altri di pura comicità”. Insomma: si racconta, si recita, s’improvvisa. Interpretando tutti i personaggi e pure sé stesso. Con il teatro a trasformarsi in un gioco caleidoscopico ma serissimo. Qui inseguendo un Amleto al solito in conflitto con il mondo e, soprattutto, con mamma Gertrude e quell’usurpatore (assassino) dello zio Claudio. Il resto è storia. Un coro per voce sola. Con il Castello a ricordare per una sera il profilo tutto danese di Elsinor. Coi suoi fantasmi.