Fotografò i grandi della musica: la figlia di Montalbetti lo salverà dall'oblio

Battisti, Pfm, De André, Fossati, Pino Daniele e molti altri. In memoria del grande creativo, cui deve molto la pubblicità, la figlia Alice prepara eventi, libri, film e mostre sulle sue opere

Un dettaglio di "Lucio Battisti, la batteria il contrabbasso" (foto Montalbetti)

Un dettaglio di "Lucio Battisti, la batteria il contrabbasso" (foto Montalbetti)

Milano, 17 ottobre 2018 - Quando l’oblio sembra cadere anche sugli artisti più creativi del nostro Paese, ci vuole un miracolo. O una persona cara, che spenda se stessa per preservarne la memoria. Come dimostra questa storia. Ricordate le belle copertine degli album di Lucio Battisti, Pino Daniele, Branduardi, Finardi, Aznavour, Bennato, Fossati, Bruno Lauzi, Mia Martini, De André, Banco del Mutuo Soccorso, Pfm, Èquipe 84, solo per citarne alcune?  Erano quasi tutte opera (ne firmò 200) di un grande fotografo milanese, Cesare Montalbetti, da tutti conosciuto però come “Monti”, scomparso nel 2015 a soli 68 anni. Di fatto colui che negli anni ‘70 introdusse in Italia un concetto di immagine fotografica legata all’album musicale: la foto d’autore.

Bambino dislessico, divenne un eclettico artista che passò dalla fotografia, alla pubblicità, alla saggistica, cercando di interpretare il mondo in una luce più umana. In alcuni reparti dell’ospedale S.Paolo di Milano è tuttora presente il suo progetto “Curare con amore”. Insieme a molti spot innovativi (Volvo, Swatch e Guzzini, i primi spot sociali contro l’Aids e per la ricerca sul cancro, quelli di Pubblicità progresso e sui poveri in Itali (ai tempi una delle 5 potenze mondiali più ricche). Fu anche direttore artistico di Re Nudo e tenne stage di poetica dell’immagine in alcune università. Nel 1997, gli viene conferita una Laurea Honoris Causa in Scienze Umanistiche a New York. Due anni dopo pubblicò il libro “Lucio Battisti e la Numero Uno”, con 144 fotografie inedite dalla sua collezione privata.

Cesare è morto tre anni fa e la figlia Alice sta cercando di coltivarne l’eredità culturale (e difenderne i diritti) con iniziative che stanno dando i primi risultati. Una prima mostra (con le copertine degli album) si è tenuta allo Spazio Oberdan di Milano (“Gioia e rivoluzione”) ed è stata riproposta in versione più ampia a Carimate, con un progetto di coinvolgimento dei giovani delle scuole (“Le stanze della memoria”) e la pubblicazione di un libro. «Papà - dice Alice - amava i giovani». Ma non è tutto. Nel maggio 2019 uno spazio in Brera ospiterà “Cesare Monti alle radici del pop”, una mostra-esperienza su tutto l’itinerario creativo di Monti, progetti di ricerca e sperimentazione, senza tralasciare il “the wall” (collage di copertine) e le tante pubblicità girate da Cesare negli anni 80-90.

«C’è poi il progetto di un libro fotografico in edizione speciale, prodotto da Guido Harari, più una serie di eventi che si svilupperanno come per Carimate a km. 0, utilizzando il territorio e i giovani. «Non tralasceremo Napoli città tanto amata da Cesare nelle immagini di Pino Daniele». Alice ammette di avere un altro grande sogno: «L’ambizioso progetto è riportare alla luce in una nuova veste la Divina Commedia, in particolare l’inferno di Dante, rivisitato da mio padre nella stesura della sceneggiatura dal titolo “Viaggio fantastico tra Dante e gli incubi del 2000”, con 7 mini film in una piazza (itinerante) che chiamerò “la piazza del pensiero”. Perché 7? Sono i vizi capitali...».

Perché Cesare era un grande indagatore delle sfaccettature dell’animo umani, quindi del bene ma anche del male. ha vissuto a Londra e a New York, nei luoghi e negli anni in cui si respirava aria di cambiamento. «Sapeva incantare con maestria ed eleganza - dice Alice - Usava le mani dell’anima. Definirlo è assai difficile, diciamo che era un poeta dell’immagine, artista multimediale, ricercatore visionario. Un potente allucinogeno. Vedeva e ti mostrava il mondo alla rovescia». Il bianco e nero sgranato era il segno indelebile della sua fotografia spesso stampata a mano. I suoi lavori accompagnavano in un viaggio surreale, alla fine del quale qualcosa era cambiato, nel bene o nel male. Era il bene e il male insieme, uno non prescindeva l’altro e uno annullava l’altro». Un artista daltonico, insomma: la sua immagine è sempre stata come un negativo in bianco e nero al contrario, ma la sua anima pop usciva nelle stoccate di colore che usava. Un artista che sarebbe un delitto consegnare all’oblio.

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