Ha ucciso il marito, sei anni di carcere. La Cassazione: troppo, fu provocata

Colpevole di omicidio preterintenzionale motivando la pena ridotta con la “sindrome della donna percossa”

Uno stralcio del Giorno quando uscì la notizia della sentenza

Uno stralcio del Giorno quando uscì la notizia della sentenza

Milano Non voleva ucciderlo, ha confermato la Cassazione. Quella sera litigavano in cucina, come succedeva spesso. Poi lui la provocò con uno schiaffo e parole umilianti e lei si girò di slancio, prese un coltello dalla tavola e lo colpì una volta sola, però al cuore. In realtà voleva solo ferirlo, stabilirono i giudici. E la condannarono, anche in appello a “soli“ sei anni di reclusione per omicidio preterintenzionale, cioè oltre l’intenzione. Ma ora la Suprema Corte ha annullato questa sentenza e ha ordinato un nuovo processo di secondo grado perché venga riconsiderata l’attenuante della provocazione. 

Infatti Maria Luisa F., la donna che una sera di dicembre di quattro anni fa uccise il suo compagno nel loro appartamento di via Montecassino, zona Ponte Lambro, aveva alle spalle una storia particolare e drammatica. Una violenza sessuale subita da uno zio quando era bambina, un’altra dall’uomo che avrebbe poi finito per sposare perché incinta e con il quale avrebbe messo al mondo altri due figli prima che lui se ne andasse lasciandoli soli. E nelle motivazioni della condanna a 6 anni di reclusione, il gup Cristina Mannocci citò una consulenza tecnica prodotta dall’avvocata Silvia Belloni e firmata dalla criminologa Isabella Merzagora, che parlava di “sindrome della donna percossa”, un particolare "disturbo da stress post-traumatico" che può insorgere anche a distanza di decenni. 

Una sindrome che Merzagora spiegava manifestarsi anche attraverso “flashback” mentali in grado di far rivivere, a chi ne soffre, "involontari e intrusivi ricordi spiacevoli dell’evento traumatico". E secondo il giudice Mannocci erano state proprio le parole pronunciate dall’uomo durante la lite ("cosa vuoi che sia per te, sei abituata a cose peggiori"), "per il riferimento ai traumi passati a esasperare l’imputata che ha impugnato il coltello che era sulla tavola apparecchiata per la cena intimando all’uomo di smetterla e, di fronte alle risa di scherno del compagno lo ha colpito al torace senza rendersi conto del gesto che stava compiendo". 

La “sindrome della donna percossa” in alcuni paesi anglofoni "è stata addirittura valutata nei processi per omicidio del coniuge abusante alla stregua di una attenuante – scrisse il gup – o come legittima difesa o come vizio parziale o totale di mente". Non così potrebbe succedere nel nostro sistema giuridico, osservò il giudice,"in quanto manca a tutta evidenza il requisito della proporzione tra la offesa ricevuta dalla imputata (pur tenendo conto della sua situazione psicologica) e il gesto commesso". Tuttavia il gup Mannocci applicò a Maria Luisa "le attenuanti generiche nella loro massima estensione". Ora però la Cassazione proprio sul punto della “provocazione“ ha ordinato di rifare il processo d’appello. Colpito al cuore, quella sera maledetta Alejandro B. fece pochi passi e crollò sul pavimento. La sua compagna si era già pentita del gesto e lo abbracciava a terra pregando il cielo a voce alta. La polizia, avvertita dalla loro figlia quindicenne, li trovò così. Arrestata in flagrante, dopo pochi giorni in cella la donna ottenne di andare ai domiciliari nella casa della signora presso la quale lavorava come colf e che la accolse insieme alla figlia ragazzina.

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