Tullio Solenghi: "Le serate con Grillo e i provini con Baudo in mutande..."

L'attore: "A Milano ho imparato cosa siano il rigore e la disciplina" di MASSIMILIANO CHIAVARONE

L’attore Tullio Solenghi in zona Porta Genova (Newpress)

L’attore Tullio Solenghi in zona Porta Genova (Newpress)

Milano, 24 aprile 2016 - «Milano è una città senza tempi morti». Lo racconta l’attore Tullio Solenghi. «Anche se ora è un po’ troppo fighetta e perfettina».

Rimpiange una versione proletaria di Milano?

«Ma no, va bene così. In realtà provo nostalgia. La mia prima volta a Milano risale al 1968 e l’atmosfera era diversa. Ma già da metropoli. Avevo 20 anni, fresco di diploma della Scuola del Teatro Stabile di Genova. Venni a Milano per partecipare a “Tiribitanti, gli sconosciuti si fanno avanti”, un programma Rai firmato da Marcello Marchesi e Guido Clericetti. Ognuno di noi si cimentava in qualcosa di artistico. Io feci il monologo dal “Giulio Cesare” di Shakespeare, ma lontano dall’impostazione accademica. Scelsi una versione più umanizzata, con voce normale come aveva fatto Marlon Brando. E poi Milano fa parte della mia vita, perché mio padre Guido nacque qui e studiò pittura a Brera».

E l’esordio a teatro?

«Un debutto muto, al teatro Manzoni, in “Madre Courage e i suoi figli” di Brecht con la regia di Luigi Squarzina nel 1970. Ero in scena senza parlare, mentre Giorgio Lopez, fratello di Massimo, che fu chiamato con me, almeno aveva il privilegio di dire una battuta. Ma quell’occasione fu fondamentale, perché la protagonista era Lina Volonghi, che mi prese a benvolere. Standole vicino imparai moltissimo. Ricordo la sua lunga preparazione prima di entrare in scena. Arrivava a teatro presto, ripassava la parte, recitava il rosario con la sarta con cui poi giocava alla “Cirulla”, una variante della scopa, prima della chiamata».

Cosa le ha insegnato?

«Il rigore e la disciplina. Infatti l’approssimazione era la sua, come poi è diventata la mia, peggiore nemica. Il secondo anno di nuovo a Milano, stesso teatro e stesso titolo, ma fui promosso al ruolo del figlio minore di Madre Courage. Milano era un fiorire di iniziative, produzioni, creatività. Ricordo un concerto di Joan Baez all’Arena. Lei disse “niente militari” ai carabinieri che intervennero per questioni di sicurezza e continuò a cantare sotto la pioggia».

Poi Milano è stata più presente nella sua vita?

«Dopo sette stagioni allo Stabile di Genova come attore fisso della compagnia, non mi furono assegnati i ruoli che mi aspettavo e decisi di andare via. Era il 1977 e ritornai a Milano, tentando la carta del cabaret. Bongiovanni, il patron del “Derby”, mi provinò alle due del mattino, dopo lo spettacolo,  davanti ai camerieri. Mi disse di tornare dopo alcuni mesi. Io intanto andai dal concorrente, il “Refettorio” con Beppe Grillo. Ci affidarono la serata dei genovesi: cominciavo io e poi continuava Beppe. Alcune volte c’erano solo tre persone in sala. Ma secondo Grillo c’era già un discreto pubblico. Una sera venne a vederci Baudo che decise di portarci in tv. Mi ricordo che ci provinò in mutande nel suo albergo in zona Fiera, si stava vestendo perché doveva andare in Rai per un programma. Era fatta, fummo ingaggiati per Domenica in».

Lei e Grillo a Milano, chissà quanti aneddoti.

«Anche a Beppe piaceva molto Milano. Al Refettorio ci pagavano poco e non ci offrivano neanche da bere al bar. Noi compravamo le bevande fuori e le portavamo nel locale. Una volta poi Grillo mi chiese di portare il suo Porsche da Milano a Genova. Io fino ad allora avevo guidato solo la Dyane. Stavo per ammazzarmi sulla Serravalle Sesia, ma poi riuscii a farcela con pochi danni».

La zona di Milano che preferisce?

«Porta Genova. Ci ho abitato a lungo, perché c’è un residence che accettava il mio Joker, un labrador che portavo spesso con me. È una delle zone simbolo della rinascita di Milano. Ho sempre tifato per il recupero della Darsena, e ora, a lavori finiti, ne godo il bellissimo risultato. Quando sono qui, immagino di girare per le corti delle case di ringhiera e di sentire la gente parlare e fare battute. Le mie risate più grasse sono lombarde, come quelle che mi hanno procurato i Legnanesi».

E non dimentichiamo la Milano del Trio Marchesini-Solenghi-Lopez.

«Il nostro debutto tv è stato proprio a Milano in Rai con “Tasto Matto” nel 1984. E poi il Teatro Nuovo di Franco Ghizzo ci ha regalato grandi emozioni. Mi ricordo che rifiutavamo la claque. Il loro capo comunque ci disse: “La vostra fila alla biglietteria ha superato quella di Dorelli e di Bramieri”».

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