I soldi, la cocaina e i summit in via Fara: la storia dell’agente sotto copertura

Trafficanti incastrati dal finanziere undercover, le motivazioni delle condanne: i vertici in zona Porta Nuova e il gruppo dei “Milanesi“

Johnny Depp nel ruolo di Donnie Brasco, film ispirato a un infiltrato della polizia

Johnny Depp nel ruolo di Donnie Brasco, film ispirato a un infiltrato della polizia

Milano, 15 febbraio 2020 - I summit preparatori nei locali del centro. I soldi per organizzare finti carichi di frutta e gamberi dal Sudamerica. I panetti di cocaina nascosti nei container e i magazzini affittati solo per estrarre la droga dai tuberi di manioca. Nell’ottobre scorso, il gup del Tribunale lagunare Francesca Zancan ha emesso condanne complessive per quasi due secoli di carcere nei confronti degli indagati dell’operazione "Picciotteria bis", che nel dicembre del 2015 aveva portato all’arresto di nove persone accusate di aver messo in piedi un maxi traffico di stupefacenti in più tranche. Nelle motivazioni della sentenza, rese note nei giorni scorsi, il giudice ha ricostruito con dovizia di particolari tutte le fasi dell’inchiesta del Gico della Guardia di Finanza.

Un’inchiesta in cui ha giocato un ruolo determinante l’agente sotto copertura numero 8067, che si è infiltrato nell’organizzazione spacciandosi per l’imprenditore Francesco Giraldi, titolare della ditta "Gi.Fra" srl, ed è riuscito a conquistare la totale fiducia di uno dei capi, Attilio Violi. Un’inchiesta in cui alcuni dei passaggi cruciali si sono dipanati all’ombra della Madonnina, anche perché a un certo punto è entrato nell’affare anche il cosiddetto "gruppo dei Milanesi". Dopo l’incontro preliminare avvenuto in Veneto il 25 settembre 2014, durante il quale Giraldi è stato presentato ufficialmente al resto della banda, le altre riunioni per organizzare le importazioni di coca si sono svolte a due passi dai grattacieli di Porta Nuova. Il primo, il 13 ottobre, si è tenuto ai tavolini di un ristorante di via Fara: al summit hanno preso parte il militare sotto mentite spoglie, “undercover“ nel gergo delle forze dell’ordine, Antonino Vadalà – un imprenditore trapiantato in Slovacchia e coinvolto (arrestato e poi rilasciato) nel caso dell’omicidio del giornalista Jan Kuciak e della sua compagna –, il fratello Pasquale Edoardo e Leo Zappia, nipote del super boss di ’ndrangheta Giuseppe Morabito detto "Tiradrittu". I due vertici successivi si sono svolti sempre in via Fara il 18 ottobre e il 6 novembre, in un bar della strada molto vicino all’altro locale; senza dimenticare le riunioni in un bar dell’hinterland di proprietà di Pasquale Edoardo Vadalà, con ogni probabilità a Novate Milanese.

Tra i membri del "gruppo dei Milanesi" c’erano pure, secondo quanto accertato dalle Fiamme gialle e ratificato in abbreviato, Leo e Mario Palamara, Nicodemo Fuda (arrestato nel giugno 2015 nell’ambito dell’operazione Santa Fè della Dda di Reggio Calabria) e Antonio Femia (finito in cella nel blitz Puerto Liberato e poi diventato collaboratore di giustizia). "Tali incontri – scrive il giudice – avevano lo scopo di predisporre il traffico di droga dal Sudamerica, e infatti proprio nel corso di tali incontri sono stati messi a punto e precisati i dettagli del narcotraffico dalla Colombia e dall’Ecuador (rotta, quest’ultima, rivelatasi nei fatti non proficua)". Per far arrivare i carichi di coca dal Sudamerica, i trafficanti si sono serviti della società import-export di Giraldi, la Gi.Fra., veicolo di fantomatiche compravendite di frutta e pesce da ditte compiacenti come la Expopalmarena del Sur: in totale, sono state compiute 31 operazioni commerciali da una parte all’altra all’Atlantico, e nella maggior parte dei casi la merce effettivamente acquistata (con i finanziamenti degli uomini delle ’ndrine) è stata poi rivenduta a prezzi di saldo a ignari grossisti (con operazioni costantemente in perdita) o buttata perché risultata marcia. In realtà, quegli scambi erano solo un diversivo per nascondere il reale obiettivo del gruppo criminale: caricare cocaina nei container, stipando le confezioni di droga tra i bancali.

Il primo carico è giunto a destinazione il 29 giugno 2015 al porto di Livorno; da lì il container della Gi.Fra., contenente ananas, manioca (un tipo di tubero) e 50 chili di cocaina, è stato trasportato su strada all’Interporto di Venezia, evitando i controlli doganali con un decreto emesso dal pm per consentire agli investigatori di andare avanti senza destare sospetto negli indagati. L’intero contenuto è stato quindi trasferito in un magazzino di Marghera, dove il colombiano Giovanny Andrè Rivera (partito apposta dall’Olanda) ha materialmente estratto la coca dai tuberi di manioca. Le altre tre forniture, per un ammontare complessivo di 560 chilogrammi (di cui 320 sequestrati subito dopo l’arrivo), sono andate in scena con identiche modalità il 17 novembre (tre container di banane spediti dal porto di Turbo per conto della società "Comercializadora di Lorenzo Bello Diaz y Cia Ltda"), il 3 dicembre e il 9 dicembre (222 chili in 188 panetti con un principio attivo pari al 79,9%).

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