Tifoso ucciso prima di Inter-Napoli, "esilio per il Rosso"

Per il pm il capo ultrà interista "è socialmente pericoloso, va allontanato dalla regione"

Marco Piovella, capo ultrà Curva Inter

Marco Piovella, capo ultrà Curva Inter

Milano, 1 marzo 2019 - Via dalla città, anzi da tutta la regione. La pubblica accusa propone l’esilio oltre i confini regionali per l’ultrà interista coinvolto nella tragica rissa di Santo Stefano. Deve essere applicata la sorveglianza speciale per «pericolosità sociale» - anche con «divieto di soggiorno in Lombardia» - a Marco Piovella detto “il Rosso”, 34 anni, laurea al Politecnico e designer delle luci, ritenuto il capo dei Boys della curva interista, in custodia cautelare per rissa aggravata e altri reati negli scontri del 26 dicembre prima della partita Inter-Napoli in cui perse la vita l’ultrà varesino gemellato con gli interisti Daniele Belardinelli.

Lo ha chiesto ieri il pm Francesco De Tommasi nell’udienza davanti alla sezione misure di prevenzione del tribunale, presieduta da Fabio Roia, dopo che nelle scorse settimane la questura di Milano aveva sollecitato la sorveglianza speciale dell’ultrà per la durata di 3 anni. I giudici si sono riservati di decidere e lo faranno nei prossimi giorni. In udienza era presente anche Piovella, che ha reso dichiarazioni spontanee per ribadire che lui non è «il capo della curva interista» e non ha «organizzato» il blitz di Santo Stefano contro gli ultrà napoletani. Per l’avvocato Mirko Perlino, la richiesta di divieto di soggiorno in Lombardia è «assurda». Per il pm, invece, se “il Rosso” resta nei confini regionali c’è «rischio di serialità». La proposta di sorveglianza speciale discussa in udienza è stata resa più dura dall’accusa proprio in aula (prima era stato chiesto solo l’obbligo di soggiorno a Milano). Per De Tommasi infatti, quando Piovella (che è incensurato) uscirà dal carcere, se dovesse rimanere a vivere in Lombardia c’è il rischio che torni a commettere violenze nell’ambito del mondo ultrà. Lo stesso pm ha evidenziato il «ruolo di capo» avuto dal giovane nell’organizzazione dell’agguato di Santo Stefano, valorizzando in tala senso le dichiarazioni di Luca Da Ros, ultrà interista anche lui arrestato dopo gli scontri, ma poi liberato avendo collaborato alle indagini chiamando in causa proprio “il Rosso”. Nel chiedere la misura di prevenzione, il questore aveva sottolineato l’«indole violenta e pericolosa» di Piovella, la sua «grave e attuale pericolosità sociale» e il rischio «che possa reiterare analoghi comportamenti pericolosi» con una «progressiva e crescente gravità».

«Oggi Piovella ha chiarito molti dubbi», ha sostenuto invece l’avvocato Perlino. «Noi siamo fiduciosi – ha aggiunto – per il rigetto della richiesta del tutto immotivata. Piovella ha spiegato (l’udienza era a porte chiuse, ndr) che non è il capo e non ha organizzato gli episodi violenti». Assurda, per il legale, la richiesta di divieto di soggiorno perché «lui è residente a Milano, la sua attività di lavoro è a Milano». Per l’accusa di rissa aggravata Piovella, assieme ad altri quattro giovani arrestati per gli scontri prima di Inter-Napoli, ha scelto il processo con rito abbreviato che vedrà la prima udienza davanti al gup l’undici marzo. In quell’occasione il giudice dovrà decidere anche sulla richiesta di patteggiamento di Da Ros.

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