Stefano Boeri: "Non chiamatemi archistar, sono un archistreet"

L'architetto si racconta: "Il primo ricordo di Milano è una domenica a San Siro con mio zio a vedere Inter Spal"

Stefano Boeri è uno degli architetti italiani più apprezzati nel mondo

Stefano Boeri è uno degli architetti italiani più apprezzati nel mondo

Milano, 2 settembre 2017 - Non chiamatelo archistar. Stefano Boeri, architetto di fama internazionale pluripremiato, ha sempre storto un po’ il naso davanti a quell’appellativo e dice di sentirsi più un «archistreet». I motivi sono due: il piacere delle camminate e quello di incontrare le persone. Nato a Milano nel 1956, laureatosi al Politecnico in Architettura, ha sviluppato importanti progetti di riqualificazione in diversi porti, tra cui Marsiglia, Genova, Napoli e La Maddalena. Tra i suoi progetti più noti anche il Bosco verticale a Milano, premiato all’International Highrise Award 2014 come miglior grattacielo del mondo. Boeri è stato anche assessore alla Cultura nella Giunta guidata da Giuliano Pisapia, dal 2011 al 2013.

Tre aggettivi per descrivere Milano?

«Una metropoli intensa nelle relazioni, minuta nella geografia ed eterogenea nelle culture».

Il primo ricordo?

«Sono nato qui. Uno dei primi ricordi è quello di una domenica a San Siro con mio zio a vedere Inter Spal. Avevo 4 anni e lo stadio mi fece una grandissima impressione. Da allora ci sono tornato moltissime volte da tifoso dell’Inter».

Quand’è che la città ha dato il meglio di sé?

«Milano è stata un’eccellenza in diversi periodi. Ai primi del ’900 ha conosciuto la vivacità delle avanguardie con il futurismo, nel dopoguerra ha trainato l’intero Paese con la ricostruzione, negli anni 60 ha ospitato una grande ondata di rinnovamento culturale e negli anni 80 ha lanciato nel mondo uno stile e un modello di eleganza. Ma ha anche avuto momenti bui con il fascismo, gli anni di piombo, la corruzione».

E oggi com’è?

«È una città trainante, che in questi ultimi anni ha fatto da apripista ad un intero Paese».

Quale dei lavori a Milano le ha dato più soddisfazione?

«Il cantiere del nuovo Policlinico mi sta rendendo felice. Un giardino terapeutico pensile di 6mila mq è una novità assoluta nella storia delle strutture ospedaliere. Ma anche la Stecca degli artigiani e degli artisti, l’edificio nel quartiere Isola che abbiamo ricostruito vicino al Bosco Verticale».

La città è stata importante per la sua formazione?

«Naturalmente, Milano è la misura di tutte le altre città. Per professione giro molto ma negli occhi ho sempre Milano, per me è un punto di riferimento e confronto con le altre città del mondo».

Expo è stata un’opportunità sfruttata bene?

«Expo è stato una sorta di traguardo comune per progetti nati in momenti diversi. È stato un grande collettore di energie: la Darsena, Porta Nuova, il museo di Armani, il museo delle Culture. Tutto quello che era in corso o interrotto ha trovato di colpo una scadenza da rispettare».

C’è qualche posto che le è rimasto nel cuore?

«Lo stadio di San Siro e il teatro Ringhiera in zona Chiesa Rossa. Poi mi piace moltissimo il quartere Isola e piazza Sant’Ambrogio, che è la zona dove sono nato e dove ho vissuto per tanti anni. Più che luoghi per me sono percorsi mnemonici».

Pensa che tornerà alla politica attiva nella sua città. O quell’esperienza è chiusa?

«Prima di essere mandato via da Pisapia, per ragioni ancora a me oscure, in un anno e 8 mesi da assessore alla Cultura siamo riusciti a fare tante cose. Abbiamo lanciato Piano City e Bookcity, fatto una mostra su Picasso dall’incredibile successo, spostato il museo dei bambini alla Besana, inventato il Museo della Pietà Rondanini, aperto Base all’Ansaldo. Oggi continuo a fare politica per Milano ma in un altro modo. Mi sono impegnato sui temi della povertà e delle periferie, e con Mi030 ho coinvolto centinaia di ragazzi tra i 15 i 25 anni».

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