Milano, Rogoredo: volontari nella trincea dell’eroina. "Così diamo speranza ai ragazzi"

Viaggio in via Sant’Arialdo con il Team Rogoredo di Cisom: abiti puliti e kit sanitario contro le infezioni. "Il boschetto non c’è più, i tossicodipendenti sì: in un mese ne abbiamo inviati 5 nei centri di recupero"

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Non sono più i numeri giganteschi di una volta. Quando il boschetto di Rogoredo attirava mille persone da tutta la Lombardia ogni giorno, a caccia di "nera" a basso costo. "Ma i tossicodipendenti non sono affatto scomparsi", afferma Annabella Pirreco, responsabile del Team Rogoredo del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta (Cisom), un gruppo di volontari (una trentina che si alternano in gruppi di 5-7) che raggiungono due volte a settimana – lunedì e mercoledì – l’ex piazza di spaccio più grande del Nord Italia. Il servizio è attivo dal 2019.

Dopo l’imponente piano di intervento sociale e sanitario, con la regìa della Prefettura e il coinvolgimento di Ats, istituzioni e associazioni, il boschetto si è "ripulito", ma la geografia dello spaccio si è spostata verso i binari della ferrovia, sotto il viadotto della tangenziale e a San Donato. I volontari del Cisom si mettono in uno spiazzo di via Sant’Arialdo per distribuire focacce, torte e hamburger, the freddo, acqua, vestiti puliti e intimo, salviettine e spray contro le zanzare. A ridosso della stazione si aggiunge pure l’Ambulatorio medico mobile, per fornire cure sanitarie di primo soccorso contro infezioni e problematiche legate all’abuso come il "fuori vena". "In media incontriamo ogni sera 50-60 persone, a volte di più", precisa la responsabile del Cisom.

Sono italiani e stranieri, un po’ più uomini, di tutte le età. "Tra le presenze fisse c’è un nonno di 65 anni: il pomeriggio va a prendere i nipoti all’asilo e di sera viene a Rogoredo a farsi – spiega Pirreco –. Due settimane fa, invece, abbiamo intercettato due ragazze di 16 anni: non vivevano in strada, ma erano venute lì da sole a comprare droga". I volontari non giudicano, ascoltano: danno calore umano, conforto, attenzione. "Il nostro obiettivo è agganciare queste persone. Questo mese siamo riusciti a indirizzare in comunità 5 persone ed è un risultato straordinario. Dal 2019 siamo riusciti a portare via da Rogoredo centinaia di giovani e adulti per accompagnarli in strutture di assistenza", chiarisce Pirreco, che ha 59 anni, fa l’impiegata, ha una famiglia con tre figli e da dieci anni è volontaria.

Incrociamo anche Don Diego Fognini, responsabile della comunità maschile La Centralina: ha il look da hippy e non indossa l’abito da sacerdote. Da tre anni viene ogni mercoledì da Morbegno, Valtellina, per allontanare i ragazzi da Rogoredo: "Io ne posso accogliere solo 20, servirebbero più posti. Il nostro intento è far capire ai ragazzi che c’è un’altra strada per riprendersi la vita. Ma non è un’impresa facile". C’è chi ricade nel buco nero. Come Damiano, 51 anni, di cui 16 in carcere: "Ho iniziato a farmi dopo che mia madre mi è morta tra le braccia a 21 anni. Con padre e fratello non ho più rapporti da tempo", racconta mentre traballa su una gamba trafitta dalle ulcere. "Damiano era rimasto con noi un anno e mezzo, si era ripulito, faceva il cuoco. Poi è scapp ato. C’è chi non resiste alla chiamata del bosco, dove fai tutto quello che ti pare, ma non bisogna mai perdere la speranza".

 

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