"Restino le piante: sono specchio dei tempi"

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di Marianna Vazzana

"È una vetrina verde adatta a interpretare i temi caldi del tempo. Anche con delle provocazioni, per affrontare in maniera “ludica“ qualcosa di molto serio: le palme e i banani in piazza Duomo, ad esempio, non possono non ricordare il climate change". E quando spariranno? "Arriverà altro. Altro verde. Tutto si può interpretare: la botanica offre infinite possibilità". Andreas Kipar, architetto paesaggista tedesco, docente di Public Space Design al Politecnico di Milano, cofondatore e direttore creativo di Land, studio internazionale di architettura del paesaggio, riflette sul fazzoletto verde che dal 2017 ospita (ancora per poco) palme e banani sponsorizzati da Starbucks.

Apprezza queste piante in piazza Duomo?

"Tutto è ammesso, anche palme e banani. Quello che si vede in quella porzione di piazza ha un carattere temporaneo. È diverso dallo spazio di piazza Scala, dove sono posizionati 5 tigli che fanno ombra sulle panchine. Le aiuole di piazza Duomo non sono pensate per la sosta, per fermarsi a riposare: rappresentano una vetrina che a seconda dei tempi cambia. Non andrebbero bene, lì, tigli o ippocastani, che di solito restano nello stesso luogo per tutta la vita. Il carattere temporaneo invita anche alla provocazione. La piazza è meta di turisti e milanesi, il verde non deve diventare terreno di contesa, dove far scoppiare “guerre di religioni“. Sta all’intelligenza del progettista ideare qualcosa su cui riflettere e, perché no, che provochi stupore, senza dimenticare che il verde consente di toccare in maniera ludica argomenti seri come appunto il cambiamento climatico. Dobbiamo rifletterci".

Le palme di oggi in piazza Duomo hanno un significato diverso rispetto a quello che esprimevano le palme collocate sempre in piazza, a cavallo tra Ottocento e Novecento?

"Sì. Le palme allora ricalcavano il gusto per l’esotico, lo stesso che portava i milanesi a piantarle in alcuni dei loro giardini. Attraverso la natura rappresentiamo l’esigenza della nostra società di cambiare. Le scelte, anche nel verde, sono il motore di una nuova estetica. Collocarle in piazza Duomo oggi significa metterle in una vetrina che cerca di interpretare i temi del tempo, anche le preoccupazioni, che così vengono esorcizzate. Rese meno pesanti".

Cosa pianterebbe, lei, in fururo?

"Io mi auguro che il futuro progettista mantenga “l’invito allo stupore“. Mi auguro che chiunque si farà avanti possa interpretare i tempi attraverso il verde. Io metterei qualcosa che porti freschezza, ombra e biodiversità. Non voglio mettermi io nei panni del progettista però dico che il regno della botanica è immenso. Sognando, dico che mi piacerebbe un collegamento ideale con l’Orto Botanico di Brera. Apprezzo l’idea di un orto in piazza Duomo, non di verdura ma una piccola rappresentazione “della meraviglia del mondo“. Non critico una certa esuberanza botanica, dopotutto siamo la città del Bosco verticale. Mi piace che in mezzo alla pietra la natura abbia un suo spazio, che possa esprimersi".

Altre idee?

"Sarebbe bello se anche piazza Duomo fosse coinvolta nel progetto “Forestami“ (che prevede di piantare 3 milioni di alberi entro il 2030). Ricordo il sogno di Abbado: 90mila alberi per la città. Ma allora, forse, i tempi non erano maturi".

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