Quando i cinesi si affacciarono sull’Adda

Claudio

Negri

I cinesi erano arrivati in orario. Dalla Via della Seta. O dalla Via del Nylon. Ecco spuntare una delegazione di giovani tecnici e ingegneri di Shanghai in visita alla centrale termoelettrica di Cassano d’Adda. Ad attenderli c’era anche un drappello di curiosi di mestiere. All’incomincio degli Anni Ottanta il Dragone si andava affacciando nel nostro cortile e faceva comunque notizia. Con deplorevole pressapochismo ci aspettavamo di vedere gente vestita nella ecumenica casacca della Rivoluzione Culturale – in voga sì, ma vent’anni prima – o nelle bluse della furente adolescenza delle Guardie Rosse. Dal pullman-navetta della vecchi Azienda Energetica Milanese scese invece un drappello di uomini in giacca e cravatta, nelle sfumature (molto meno di cinquanta) di grigio color d’apparato. Noi scribi eravamo di ottimo umore. Ci sentivamo tutti dei Marco Polo a chilometro zero. Anche i cinesi dovevano essere di ottimo umore, ma non lo davano a vedere. Cominciò la visita alla centrale, noi in coda, sperando di cogliere spunti curiosi. Niente. Il funzionario dell’Aem illustrava, l’interprete traduceva, i cinesi annuivano e prendevano appunti. Ma a un certo punto, con mio vivo disappunto, un capientissimo montacarichi ci portò tutti in cima al castello di lamiera del gruppo elettrogeno. Io soffro di acrofobia: paura dell’altezza. Un po’ come James Stewart ne “La donna che visse due volte” senza però il tormentato conforto della Kim Novak dell’epoca. Durante il tragitto fui invano rassicurato da un tecnico: l’ascensore si spalancò su un ballatoio ventoso: il pavimento era di metallo traforato, si vedeva l’abisso vaneggiare di sotto! Inorridito, balzai all’indietro. Che figuraccia internazionale. Ma intanto il più serio e impenetrabile della delegazione di Shanghai mi aveva imitato. Così ci ritrovammo quasi abbracciati nell’ ascensore in rassicurante discesa. Con mimiche universali gemellate sulla Via della Fifa. E negli occhi dell’altrimenti imperturbabile cinese, una volta a terra, scorsi un lampo di riconoscenza.

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