NICOLA PALMA
Cronaca

Picasso e il quadro da 10 milioni in cerca di un padrone

Il nuovo proprietario chiede la restituzione del capolavoro sequestratoo in una notissima galleria d’arte di New York

CONTESO  Il capolavoro di Picasso «Cojfret, Compotier et tasse»

CONTESO Il capolavoro di Picasso «Cojfret, Compotier et tasse»

Milano, 16 marzo 2017 - E' il 25 giugno 2013, siamo in una notissima galleria d’arte di New York: Cojfret, Compotier et tasse di Pablo Picasso sta per essere battuto in un’asta a sette zeri, ma un blitz della polizia americana – su delega della Guardia di Finanza italiana – blocca l’affare in extremis.

Un episodio-chiave per raccontare questa vicenda intricatissima che ruota attorno a uno dei tanti capolavori del padre del Cubismo, con un valore che si aggira sugli 11,5 milioni di euro. A quel quadro ci sono arrivati per diverse strade i pm milanesi Sergio Spadaro e Stefano Civardi, titolari di due inchieste che vedono coinvolta Gabriella Amati.

Chi è? È stata per anni l’amministratrice di fatto (insieme al marito Angelo Maj deceduto nel 2012) dell’Azienda Italiana Pubblicità (Aip), incaricata tra le altre cose di incassare dai cittadini napoletani (e di altri Comuni come Pescara e Bordighera) le tasse sui rifiuti; peccato che parte di quei soldi non arriverà mai nelle casse dell’amministrazione partenopea, alimentando un peculato da 40 milioni di euro a favore di una società poi svuotata e portata alla bancarotta.

I magistrati – che hanno pure ricostruito presunti legami tra la Amati e ambienti vicini sia alla camorra sia a personaggi della banda della Magliana in un secondo filone sull’agenzia Debiti Spa – si mettono sulle tracce di quel denaro che sembra sparito nel nulla e trovano tracce del deposito del dipinto picassiano in Svizzera; nel frattempo, però, la tela ha già spiccato il volo per gli States, dove verrà ritrovata dalle Fiamme Gialle. Scatta il sequestro «per equivalente», cioè per compensare in parte con beni materiale la cifra che la proprietaria avrebbe sottratto prima ai consumatori e poi alla sua azienda traghettandola al fallimento.

Ed è in quel momento che compare per la prima volta colui che sostiene di essere il vero proprietario del capolavoro: Fiorenzo Consoni, 73 anni originario di Carate Brianza. Consonni sostiene di aver acquistato l’80% delle quote del dipinto dalla coppia Amati-Maj tra il 2000 e il 2003, lasciando «taluni poteri gestori» a Maj in virtù di «un rapporto fiduciario» fino al 24 febbraio 2012, quando la Amati, in veste di procuratrice generale del marito, ha informato ufficialmente la Mat Artcare Ag di Kloten, in Svizzera, del cambio di proprietà.

Consonni chiede la restituzione del quadro, ma per due volte il Tribunale di Milano gliela nega. E arriviamo ai giorni nostri. Sì, perché il 30 maggio 2016, ribaltando la decisione del gip, il Tribunale del Riesame accorda un altro sequestro preventivo chiesto dal pm che sta indagando proprio sulla compravendita Amati-Consonni: per l’accusa, la donna avrebbe «simulato la vendita a Fiorenzo Consonni al fine di sottrarre il dipinto al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto e di interessi e sanzioni amministrative relative a dette imposte» per un ammontare complessivo pari a 1,629 milioni di euro (per gli anni che vanno dal 2004 al 2009); e ancora, la Amati avrebbe anche «compiuto atti fraudolenti sul suddetto bene, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, consistiti nel suo trasferimento negli Stati Uniti, eseguito dallo stesso Consonni». Ipotesi tutte da dimostrare. Qualche giorno fa, però, è arrivata la decisione della Cassazione sul ricorso presentato da Consonni, «in qualità di terzo interessato», per ottenere il dissequestro di quello che ritiene essere un quadro di sua proprietà: la Suprema Corte ha detto «no», restano i sigilli al capolavoro di Picasso. Un capolavoro in cerca di padrone.