Omicidio di Melzo, donna uccisa e fatta a pezzi: come è morta Lucia?

La tragica ipotesi: la donna potrebbe essere stata sigillata nel cellophane fino a soffocare

La Scientifica sulla scena del crimine a Melzo

La Scientifica sulla scena del crimine a Melzo

Esami sui tessuti e sul Dna. Patologi al lavoro sulle membra straziate di Lucia Cipriano, la 84enne di Melzo uccisa e fatta a pezzi con una sega da falegname dalla figlia 58enne Rosa Fabbiano, a fine marzo, e ritrovata il 26 maggio dalla sorella della presunta omicida. Loredana vive a Trento ed era piombata nella casa di famiglia, in via Boves, per capire cosa fosse successo alla madre che non riusciva più a contattare da settimane.

L’autopsia all’Istituto di medicina legale a Milano non sarà breve: l’esame è cominciato ieri, ma servirà tempo per dare risposte alle domande degli inquirenti. Prima di tutto bisogna capire come è stata uccisa la pensionata: per i carabinieri di Pioltello che indagano sul caso sarebbe stata sigillata nella vasca da bagno sotto un telo di cellophane fino a soffocare. Il delitto viene fatto risalire a un paio di mesi prima della macabra scoperta. Ed è su quel corpo straziato – l’operaia ha anche decapitato la mamma – che si concentra l’attenzione. Ma stabilire con esattezza il momento del decesso sarà difficile, è probabile invece che lo studio offra qualche elemento in più sulla terribile fine della donna. Forse finita prima di essere stata adagiata nella vasca e poi smembrata.

Il fermo con l’ipotesi di omicidio, occultamento e vilipendio di cadavere era arrivato la stessa sera del 26 maggio. Quella mattina Rosa Fabbiano si era lasciata sfuggire una frase riferita da Loredana agli investigatori: "Non ce la facevo più. Ho combinato un disastro". Poi era scappata nei campi, forse un ultimo disperato tentativo di sfuggire alle proprie responsabilità, al quale le pattuglie avevano messo subito fine. Nel decreto di convalida, la ricostruzione che inchioda la figlia assassina. Rosa, oltre a “cancellare“ la madre che aveva cominciato a soffrire di demenza, per due mesi ha coperto il terribile segreto. "Non era più gestibile, l’ho ricoverata alla casa di riposo", ripeteva a parenti e vicini. Un copione verosimile costruito per le sorelle, il marito, i due figli, nipoti e conoscenti. Ma lei era l’unica ad avere le chiavi di casa della vittima. Per il gip all’origine del matricidio "c’è l’assoluta incapacità dimostrata dall’indagata nel sopportare il decadimento fisico e mentale altrui e, in particolare, di coloro che le sono legati da vincolo d’affetto". E lei è in cella a San Vittore da 16 giorni.

 

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