Riapriamo i Navigli, vero volto della città

Il professore Bricchetti, nato in Ripa di Porta Ticinese: sarebbe una favola

Il simbolo da salvare (NewPress)

Il simbolo da salvare (NewPress)

Milano, 26 luglio 2017 -  «La favola dei Navigli inizia nel 1179. La sua fortuna scompare con l’avvento della ferrovia e del trasporto su gomma», svela Edo Bricchetti, ex professore al Politecnico e in Bicocca e membro di Inland Waterways International. Autore di due libri sui percorsi ciclabili lungo il canale, è un vero appassionato dei Navigli, essendo nato in Ripa di Porta Ticinese, al 49, sopra la casa della poetessa Alda Merini.

E il futuro dei Navigli? Sulla riapertura spiega che «ridarebbe alla città il suo volto, ma da solo non basta. Sono favorevole ad una navigazione continua anche verso l’hinterland». E sulla balneabilità: «Il mio è un discorso di buon senso. Non sono certo che si possano garantire le condizioni di sicurezza dei bagnanti in Darsena. Pensiamo cosa possa succedere se si immergono nell’acqua dopo aver alzato il gomito…». Poi, il professore torna alla storia. E gli occhi si illuminano. «Il naviglio è stato per secoli una realtà viva, circondato da officine, rogge, mulini, sciostre cioè magazzini per le merci. Adesso c’è la movida: non mi entusiasma. Troppi ristoranti, locali…». È un uomo che preferisce parlare del passato: «Nel 1179 nacque il Naviglio di Gaggiano che si collegava con Tornavento. Nel 1257 i milanesi lo unirono con la città facendolo arrivare fino al Laghetto di Sant’Eustorgio: è il Naviglio Grande, mirabile opera di ingegneria idraulica che supera il dislivello senza l’ausilio di conche di navigazione».

Quando  nel 1386 iniziò la costruzione del Duomo, il Grande diventò la Via del Marmo, collegando la città con la cava di Candoglia sulla riva del Toce.  Nel 1359 Galeazzo Visconti ordinò l’escavazione di un canale che sarà detto poi Navigliaccio. Nel ’400 gli Sforza proseguirono la politica di forte sviluppo delle idrovie. «Per aprirsi una via commerciale con Venezia e l’Oriente e non dipendere da Lodi, rivale di Milano, che controllava il Lambro, tra 1457 e 1463 Francesco Sforza avviò la costruzione del Naviglio della Martesana: un gioiello di ingegneria che arrivava fino a via Melchiorre Gioia. A fine 1400 Ludovico il Moro chiese a Leonardo da Vinci di collegare la Martesana alla Cerchia interna, vecchio fossato medievale, attraverso la Conca dell’Incoronata, ancora oggi visibile in via Castelfidardo. Nel 1591 sotto la dominazione spagnola cominciarono i lavori del Naviglio di Paderno, progettato da Giuseppe Meda: fu terminato nel 1700 dagli austriaci, che terminarono anche l’ultimo dei Navigli, il Pavese, nel 1819. Fino a fine ’800 fu un periodo d’oro per le vie d’acqua, attraverso la Cerchia interna le merci giungevano fino al centro». Poi iniziò la decadenza. Nel 1915 furono sopressi i barchett, corriere che ogni giorno effettuavano servizio da e per Milano, per la concorrenza di ferrovia e tram. «Nel 1930, epoca fascista, la Cerchia interna fu ricoperta per motivi igienico sanitari. Dopo i bombardamenti Milano fu ricostruita grazie al Naviglio della Martesana. L’ultimo barcone vi navigò nel 1953, sul Grande fino al decennio successivo».

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