Morta incinta di due gemelle, omissioni sì. Ma ci sarà solo un risarcimento

Claudia Bordoni, 36 anni, è morta tra dolori lancinanti alla clinica Mangiagalli con le due gemelle che aveva in grembo. Depositata la superperizia: processo penale verso l’archiviazione

Claudia Bordoni (Newpress)

Claudia Bordoni (Newpress)

Milano, 24 marzo 2017 - Quasi sicuramente non ci sarà il processo penale, ma le omissioni ci furono e furono gravi, su queste sopravviverà un processo civile. «Le omissioni dei sanitari non ebbero quel grado di credibilità razionale o probabilità logica tali da far riconoscere con certezza il nesso causale tra la loro condotta e la morte della paziente e delle due bambine che portava in grembo». La paziente è Claudia Bordoni, la donna di 36 anni, della Valtellina, manager assicurativo a Milano, morta tra dolori lancinanti il 28 aprile scorso alla clinica Mangiagalli con le due gemelle di 25 settimane che aveva in grembo. Le conclusioni della superconsulenza depositata ieri dai medici incaricati dalla Procura di risolvere il rebus della morte della donna porterebbero quindi verso una inevitabile richiesta di archiviazione, sopravviverebbe invece la prospettiva del processo civile. In altre parole, ci furono omissioni gravi «ma non si può dire con certezza che la donna e le bambine anche di fronte a interventi effettuati tempestivamente sarebbero sopravvissute».

La devastante emorragia interna che portò alla morte della donna fu provocata da un’endometriosi, malattia che colpisce il tessuto uterino. «Ma la emorragia (nel caso della Bordoni) fu rapidissima e i focolai di endometriosi particolarmente difficili da diagnosticare». Già da alcuni giorni la donna, rimasta incinta con tanta fatica grazie alla fecondazione assistita, lamentava forti dolori addominali, tanto che tre giorni prima della morte aveva trascorso la giornata al San Raffaele prima di essere rimandata a casa e prima di essere ricoverata definitivamente alla Mangiagalli la sera del 26 aprile. Stando alle conclusioni dei superesperti nominati dal pm Maura Ripamonti, però, in quei momenti una diagnosi precisa di cosa stava per succedere sarebbe stata quasi impossibile.

La mattina del 28 aprile, il giorno in cui morì, Claudia ebbe cali di pressione, svenne due volte e i suoi dolori si fecero insopportabili. Se i medici avessero approfondito quei sintomi senza perdere tempo e avessero dato un appropriato supporto rianimatorio per i periti «sarebbe stata possibile la sopravvivenza materna con probabilità considerevoli», ma non equiparabili ai criteri richiesti per il nesso causale in sede penale. Per quanto riguarda l’aborto delle gemelle un tempestivo taglio cesareo avrebbe aumentato la possibilità di sopravvivenza delle gemelle «ma con probabilità razionale non molto elevata». I familiari della giovane donna sono difesi dagli avvocati Antonio Bana e Antonio Sala Della Cuna.

 

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