Milano, fu quasi uccisa dal compagno ma non le spetta il patrocinio legale

Il dramma di una donna che ha rischiato la vita e a cui è stato anche tolto il figlio

I carabinieri davanti alla casa del tentato omicidio

I carabinieri davanti alla casa del tentato omicidio

Milano - Finisce in Senato il caso del tentato omicidio di fine dicembre, quando un giovane di 29 anni accoltellò la compagna 24enne scappando poi con il loro bambino di pochi mesi. Il giovane è stato subito rintracciato e arrestato. La donna ha rischiato di morire. Il ritorno alla vita dopo alcune settimane passate in ospedale in coma farmacologico la porta a essere, suo malgrado, vittima anche di vuoti legislativi; ha scoperto, infatti, di essere penalizzata rispetto a chi ha diritto ai benefici di legge per i casi di violenza di genere. 

"Una vicenda che ha dell’incredibile – spiega Concetta Sannino, legale della donna –: a quanto pare si deve morire per accedere ai vantaggi della legge sul femminicidio". Al momento del tentato omicidio la ragazza e il suo compagno vivevano nella casa dei genitori di lei, dove la donna è ritornata una volta dimessa dall’ospedale, mentre l’uomo si è visto rifiutare gli arresti domiciliari ed è tuttora in carcere. In fase processuale, prima udienza il 10 giugno, la donna vuole costituirsi parte civile per la richiesta di risarcimento, ma ci sono difficoltà economiche per le spese legali. Si pensa di poter fare affidamento alla legge che corre in aiuto alle donne vittime di violenza di genere ma qualcosa frena la richiesta avanzata dal legale. "Il gip ha negato la richiesta di gratuito patrocinio – continua l’avvocato – perché il capo di imputazione non rientra tra quelli per i quali è ammesso il beneficio. Se ne ha diritto nel caso in cui una donna venga malmenata, violentata, stalkerizzata o ammazzata, se però sopravvive a un tentato omicidio non è presa in considerazione dallo Stato". Immediata la reazione del legale per provare a riparare a quello che definisce un vuoto legislativo: "Credo sia del tutto evidente che ci sia qualcosa da fare. Ho inviato un messaggio alla senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, per illustrare il caso. Si è detta d’accordo con me e ha annunciato un emendamento". L’associazione Casa delle donne di Treviglio, di cui l’avvocato Sannino fa parte, si prepara alla raccolta di firme per sostenere la proposta di modifica alla legge.

Per la giovane mamma anche un altro problema. Deve affrontare il tribunale dei minori per ritornare in pieno possesso dell’affidamento del suo bambino, oggi in carico all’assistenza sociale presso i genitori della 24enne. "Francamente non mi spiego questa decisione del Tribunale dei minori – conclude l’avvocato Sannino –. Sapevano che la mamma si è salvata, così come sapevano che il bambino è sempre stato con la mamma in casa dei nonni. Mi domando quindi per quale ragione debbano intervenire gli assistenti sociali, la considero una ulteriore penalizzazione".

 

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