"Mettiti nelle mie scarpe", a Milano viaggio-evento nelle vite degli altri

L'installazione, ideata dall'artista inglese Clare Patey direttrice di Empathy Museum, fa tappa in piazza XXV Aprile dal 21 al 28 settembre

Il progetto "Mettiti nelle mie scarpe" in piazza XXV Aprile

Il progetto "Mettiti nelle mie scarpe" in piazza XXV Aprile

Milano, 21 settembre 2021 - L'umanità è da sempre vorace di storie. Da quelle raccontate nella stalla intorno al fuoco alle favole della buonanotte (spesso foriere di incubi più che di sogni dorati) fino ai film, alle serie Tv e agli audiolibri, infinite sono state e sono le opportunità di conoscere una frazione di vita di qualcun altro. Non sempre però libri e cinema narrano storie vere, anzi di questi tempi soprattutto tra i giovani spopolano “mainstream” su improbabili supereroi che si battono per salvare il mondo, mentre spesso ciascuno di noi non sa neppure come si chiami il vicino di casa o il collega di scrivania (né gli interessa scoprirlo). La mancanza di conoscenza genera pregiudizi e diffidenza, la carenza di empatia porta a conflitti sociali forieri di ulteriore sofferenza. Ben venga allora l'iniziativa di chi, con semplicità e intelligenza, si assume il compito di “mettere in contatto” e far conoscere persone distanti per provenienza ed esperienza di vita. Lo fa da anni con impegno Fondazione Empatia Milano, il cui obiettivo è portare avanti la “rivoluzione non violenta” dell'empatia propugnata dallo scrittore filosofo Roman Krznaric. La onlus propone periodicamente a Milano e in Lombardia la Human Library, “bibioteca umana” che permette di “prendere in prestito” la storia di una persona, in un breve dialogo che può stimolare curiosità e comprensione.

Un'opportunità simile – in collaborazione con l'Empathy Museum di Londra – è offerta in questi giorni (fino al 28 settembre) in piazza XXV Aprile a Milano: a pochi passi dalla “fashion street” corso Como e dalle prelibatezze di Eataly, ma anche dai numerosi homeless che qui dormono o chiedono l'elemosina, campeggia un'enorme scatola da scarpe con un invito scritto sopra: “Mettiti nelle mie scarpe” (l'espressione anglosassone che corrisponde alla nostra “mettiti nei miei panni”). Qualsiasi passante che abbia un quarto d'ora libero (e si sa che a Milano il tempo è oro) può entrare nella scatola, scambiare per dieci minuti le sue calzature con quelle donate da una delle 31 persone che si sono prestate a partecipare e ascoltare in cuffia la sua storia. Un assaggio di “alterità” che non costa nulla e può dare molto. Questa mattina un ragazzo ne è uscito in lacrime: aveva ascoltato la storia della madre di un ragazzo autistico, e quelle parole l'avevano commosso, facendogli capire la sofferenza del suo stesso padre a causa dei conflitti tra loro.

Ma quali storie si possono ascoltare? Ventuno dei protagonisti parlano in italiano, altri dieci in inglese. In comune hanno il fatto di raccontare senza censure né autocompiacimenti momenti difficili, sofferenze profonde, ma anche percorsi di riscatto individuale e sociale. Alcune sono più o meno note: Nico, papà di un bimbo autistico, ovviamente preoccupato per il futuro, ci racconta di come una notte si inventa una pizzeria – Pizzaut – gestita insieme a ragazzi autistici, che oggi è diventata un punto di riferimento a Milano.

Moltissime vicende sono invece assolutamente inedite. C'è Valentina, battezzata Giovanni, che narra con serenità e umorismo il percorso faticoso per diventare donna, scoprendo che i suoi studenti l'apprezzano anche di più nei nuovi panni. C'è la storia di Shaza, 24 anni, siriana, studentessa di architettura nel pieno della guerra civile, che vince un concorso e quasi per caso arriva a Firenze. Ma dopo infinite formalità burocratiche si ritrova a “diventare” richiedente asilo. Oggi vive e lavora a Milano, ed è riuscita persino a comprarsi una casa all’asta.

Vera invece è una ragazza che convive con una forma grave di epilessia, una malattia che spesso spaventa chi le sta attorno. Racconta delle sue difficoltà a camminare nel mondo e del suo impegno e coraggio nel costruirsi una vita indipendente e insieme agli altri. Leonardo è un giovane uomo che racconta la storia di accoglienza verso il “settimo fratello”, ragazzo con sindrome di down che porta amore e scompiglio all’interno di una famiglia migrante, in una Milano che non c’è più. Certo dieci minuti sono pochini per raccontare una vita, così alcune storie diventano “seriali”: per esempio è in tre episodi quella di Manlio Milani. Familiare di una vittima di terrorismo (piazza della Loggia, Brescia), racconta di quella mattina in cui la vita cambia. Dell’impunità dei colpevoli, dell’essere vittima fino a quando non verrà fatta giustizia... E del suo incontro con i terroristi per un faticoso ma importante percorso di giustizia riparativa.

“Doppia” è invece la vicenda raccontata da Paolo, che nasce e vive nella periferia di Napoli e da giovane incontra la droga. A 18 anni sulla sua cartella clinica in ospedale legge per caso la parola “irrecuperabile”. Il percorso che segue è un susseguirsi di entrate e uscite dall’eroina, passando per il carcere. Un trasferimento a Milano e vari lavori in parte lo aiutano. Fino a quando, un giorno decide di non toccare mai più sostanze di qualunque tipo e chiude l’ultima siringa in un cassetto. Non c'è davvero che l'imbarazzo della scelta, e se invece di un quarto d'ora il tempo a dispsizione è di un paio d'ore, si può approfittarne per fare una scorpacciata di storie. Riprendendo la strada un po' più ricchi, un po' più saggi e un po' più umani.

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