Milano, Google condannato a risarcire. "Io, Davide, ho battuto Golia. È la prima volta"

Il colosso del web non aveva tolto gli articoli diffamatori. Alla fine Adriano Pezzano ha avuto ragione

La sede di Google

La sede di Google

"Ci è voluto tanto tempo, ma con i miei avvocati siamo riusciti ad avere ragione su Google. È la prima volta che succede ad un cittadino comune in Italia, se non nel mondo". Quella di Adriano Pezzano è una storia che ricorda da vicino la parabola biblica di Davide contro Golia. Esperto informatico e di cybersecurity, consulente della Procura di Milano, del ministero dell’Interno e di Asl e istituzioni nel settore della Sanità, Pezzano si era trovato al centro di un "massacro su internet". A causa di un ex collega di lavoro.

Da dove è nata questa vicenda? "Ho conosciuto Claudio L. nel 2011, era un tecnico informatico e lavoravamo per due società di servizi per la Asl di Milano. Mi aveva scambiato per un parente di Pietrogino Pezzano, all’epoca dirigente della Asl (ormai deceduto), e di essere colluso con la ’ndrangheta. Il mio collega aveva pensato che, dato che avevamo lo stesso cognome, fossi suo nipote. Il dirigente medico Pezzano era stato indagato nell’inchiesta “Infinito“ perché avrebbe avuto conoscenze nella ‘ndrangheta, ma poi la sua posizione era stata archiviata. Per Claudio L., quindi, dovevo essere finito a lavorare per l’Asl grazie a lui. Invece così non era".

Come ha scoperto di queste accuse? "Una mattina ho digitato il mio nome su Google e mi sono ritrovato tutta una ‘spataffiata’ che mi accusava di essere uno ‘ndranghetista. Sono rimasto attonito. Ma poi ho stampato e portato tutto in Questura, dove mi hanno detto che Claudio L. non era nuovo ad “imprese“ di questo tipo. Ho presentato un esposto in Procura, il collega è finito a processo ed è stato condannato dal Tribunale di Lecco nel 2017. Io e il dirigente medico non siamo parenti, nemmeno della settima generazione. E questa è stata la prima tranche della mia battaglia per avere giustizia".

Perché il suo collega aveva deciso di scrivere quel post contro di lei? "Lui si riteneva una vittima della mafia. Ha scritto il post contro di me, ma se l’è presa anche con l’ex pm titolare delle indagini Ilda Boccassini, con la ex presidente del Tribunale Livia Pomodoro, con il governatore leghista Roberto Maroni. Su polizia e carabinieri ha scritto cose impensabili. Ha perfino accusato un’intera caserma dei carabinieri di essere collusa. Dopo aver pubblicato i suoi articoli, li rilanciava su siti esteri, che sono difficili da individuare e bloccare".

Poi cosa è successo? "Quando lui è stato condannato, avevo chiesto al giudice di Lecco di fare anche cancellare l’indicizzazione del mio nome e cognome sul web. In pratica per fare in modo che, quando si andava a digitare su Google “Adriano Pezzano“, il mio nome, non venisse fuori più nulla di quelle accuse inventate nei miei confronti. Il motore di ricerca però non ha dato seguito alla cosa, così abbiamo denunciato la stessa Google perché si era prestata a questa situazione non rispettando il diritto all’oblio. Il Tribunale di Milano nel 2020 ha condannato Google, la quale ha fatto ricorso in Cassazione. Ma alla fine i giudici mi hanno dato ragione. È un precedente importante. Si tratta di una decisione storica. Sia i miei legali sia i quelli americani di Google hanno detto che se l’avessimo spuntata saremmo stati forti e saremmo stati i precursori non solo in Europa ma anche in America. Sono stato il primo che ha vinto una causa simile in tutto il mondo. Nonostante cio i giudici mi hanno concesso solo 25mila euro di risarcimento per il danno morale".

Perché si è imbarcato in quest’avventura giudiziaria? "Certo non l’ho fatto per il risarcimento, dato che per fortuna ho un buon lavoro, che mi piace e faccio da anni. L’ho fatto per far valere i miei diritti. Io adesso lavoro per Dedalus, una delle più grandi multinazionali in sanità. Quando mi presento ai direttori generali delle Asl e parlo di innovazione, tecnologie, spunta sempre questa storia. Qualche articolo diffamatorio in rete c’è ancora".

Cosa pensa di fare? "Con i miei avvocati Domenico Bianculli e Angelica Parente raccoglieremo tutto il materiale online e faremo di nuovo una denuncia nei confronti di Google. E si ricomincia..."

 

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