Tragedia nelle Gole del Raganello, parla il superstite: "Travolto da un muro di fango"

Francesco Sciaraffia, 33 anni, di Bussero, paese dell’hinterland milanese

Una immagine delle Gole del Raganello tratta da Wikipedia

Una immagine delle Gole del Raganello tratta da Wikipedia

Milano, 25 agosto 2018 - «Sono fasciato dalla testa ai piedi ma non ho nulla di rotto e, soprattutto, sono vivo. Mi sento un miracolato». Francesco Sciaraffia, 33 anni, di Bussero, paese dell’hinterland milanese, rappresentante di una multinazionale, è tra i superstiti della tragedia del Raganello in Calabria costata la vita a dieci escursionisti. Francesco era in vacanza a Taranto e lunedì aveva deciso di visitare il parco del Pollino insieme all’amico Ivan Portulano, «che già c’era stato», e ad altre due ragazze, Myriam Mezzolla e Claudia Giampietro, purtroppo tra le vittime.

«Volevamo trascorrere una giornata in mezzo alla natura, vedere paesaggi nuovi e scattare fotografie. Ci siamo addentrati nella Gola, abbiamo percorso circa 150 metri a piedi. Attorno a noi c’erano due gruppi di circa 15 persone, con le guide. Quaranta metri ancora e saremmo tornati indietro, perché non eravamo sufficientemente attrezzati».

Come eravate vestiti?

«Con pantaloncini e magliette, come noi tanti altri. Quel luogo è un parco, non era raccomandato abbigliamento particolare, solo chi procedeva con le guide aveva muta e caschetto. Di controlli non ne ho visti, né si sapeva dell’allerta meteo».

E cosa è successo?

«All’improvviso siamo stati travolti da un muro di fango, sarà stato alto tre metri, e ci siamo dispersi. Non ho avuto neanche il tempo di capire: la violenza era incredibile, pensavo solo a trattenere il fiato ma non riuscivo a evitare le rocce e ho sbattuto ovunque. Le persone che mi hanno soccorso mi hanno detto che la corrente mi ha trascinato per tre chilometri. Mentre rotolavo sentivo braccia e mani di persone in mezzo al fango che cercavano disperatamente un appiglio».

Come si è salvato?

«Sono riuscito a incastrarmi con il fianco tra le rocce, così ho evitato che la corrente mi trascinasse ancora. E mi sono aggrappato a una pianta. A poco a poco mi sono tirato su. Ero in una boscaglia, son passati due elicotteri che non mi hanno visto. Avevo bevuto talmente tanto fango da avere l’esofago come incollato e non mi è rimasta altra scelta che bere la mia urina. Non riuscivo a respirare. Erano passate ore, non c’era più sole e stavo gelando. Ho pensato di risalire lungo il torrente ma non avevo le forze, allora mi sono messo a urlare. Poi per fortuna sono arrivati i miei angeli».

Chi?

«I vigili del fuoco. Ero in un punto difficile da raggiungere, hanno dovuto abbattere la vegetazione attorno per arrivare a me. Poi mi hanno portato in un punto pianeggiante e sono stato “raccolto” dall’elicottero. Il pompiere Cosimo Di Martino mi ha regalato il suo giubbotto, che mi ha salvato dall’ipotermia. Altro mio salvatore: il brigadiere di Castrovillari Aldo Martina. Non li dimenticherò mai».

Il tuo amico si è salvato?

«Sì, è rimasto aggrappato a una pianta rampicante per ore. Mentre conoscevo poco le due ragazze che erano con noi. Sono straziato».

Ti senti un miracolato?

«Sì. È vero che sono allenato, vado in palestra, ma io penso di essere stato fortunato, che qualcuno mi abbia protetto da lassù, dandomi l’opportunità di proseguire la mia vita».

Ora come stai?

«Meglio. Per diversi giorni ho avuto la febbre alta, ora sono tornato a Taranto. Ma qualcosa di buono, questo dramma me l’ha portato».

Cioè?

«Tra me e la mia ragazza Manuela le cose non andavano bene ma quello che mi è successo ci ha fatti riavvicinare. Abbiamo capito di essere importanti l’uno per l’altra».

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