SIMONA BALLATORE
Cronaca

Lo scrittore Gesuino Némus: quei romanzi scritti a mano sul tram 11...

Dalla fabbrica alle bozze di libri. "Il Campiello mi ha cambiato la vita"

Matteo Locci, il arte Gesuino Némus (NewPress)

Milano, 6 agosto 2017 - La colonna sonora della sua vita ormai è «Locci a San Siro». Nessun errore di battitura: Locci è il cognome di Matteo, in arte Gesuino Némus; San Siro, con la sua montagnetta, è casa, riflessione. Il vincitore del Premio Campiello Opera Prima 2016, con «La teologia del cinghiale» - che è stata appena tradotta anche in Francia da Marguerite Pozzoli per Actes Sud – ha lasciato la sua Sardegna 40 anni fa e ha messo radici a Milano.

Com’è stato il primo impatto?

«Era l’Epifania del 1977, un giorno plumbeo, dopo una grande nevicata. Io sono un sardo di montagna, sono abituato alla neve, ma ero partito da Cagliari con un giubbottino di renna, che ai tempi andava di moda, e così ho passato la mia prima settimana milanese con un febbrone da cavallo. Volevo lavorare e studiare, per questo avevo deciso di partire. La prima cosa che ho visto è stata la Statale, subito dopo le fabbriche. Erano anni in cui potevi citofonare alle aziende e sentirti dire: “Vuoi lavorare? Vieni domani che si inizia”. Non ho mai fatto un curriculum vitae. E si poteva anche pensare di cambiare lavoro, era la città delle opportunità. Studiavo filosofia in via Festa del Perdono e intanto facevo di tutto. Ho lavorato in fabbrica, nei supermercati quando negli anni ’80 arrivò la grande distribuzione, ho fatto il direttore di arti grafiche, il correttore di bozze nelle case editrici».

Perché ha scelto proprio Milano?

«Milano è la città più pratica che ci sia, tutto è a portata di mano, a portata di metrò. In un’altra città non sarei riuscito a sdoppiarmi. Puoi fare a meno della macchina e c’è un fermento culturale mostruoso. Qui succedeva tutto, ricordo i movimenti studenteschi, le lotte operaie. E ho sempre trovato persone straordinarie, anche fra i datori di lavoro».

I suoi luoghi del cuore?

«Prima di tutto la Statale, che è sempre stata fucina di idee brillanti. E poi la montagnetta di San Siro, quella di Rataplan e di Vecchioni. Quella di ‘Locci a San Siro’, appunto, dove vado a camminare e a riflettere. Mi piacciono i cortili, curatissimi, e mi piace la solitudine dei condomini».

Milano è anche la capitale dell’editoria.

«Sì, e io che sono qui da anni pubblico per una casa editrice romana, la Elliot. È la legge del contrappasso. Però ricordo i primi lavori nelle case editrici: correggevo a mano le bozze. Facevo anche il lettore: non dovevi sapere chi fosse l’autore, leggevi e davi la tua valutazione. Chissà, magari avrò cassato anche dei geni…».

Il Campiello ha segnato la svolta?

«Sì, io ho sempre scritto, sin da ragazzino. Solo che non ho mai fatto leggere niente a nessuno sino al 2015, per mia scelta. Poi ho deciso di provarci e ho inviato un manoscritto alla Elliot. È andata al primo colpo. Il Campiello mi ha cambiato la vita ed è stata una sorpresa così forte che per un momento mi sono scollegato dal mondo. È un premio serio. Ho tanto lavorato sin da bambino… quando Vecchioni ha letto le motivazioni e ho visto il mio libro sullo sfondo è stata una botta di adrenalina pazzesca. Adesso finalmente posso permettermi di vivere di scrittura».

Dove scrive Gesuino?

«Dappertutto. Alle 3 di mattina, soprattutto, quando ragiono meglio, sono lucido e non ho attacchi di retorica. Per anni ho scritto sul tram numero 11 a mano, quando andavo al supermercato a lavorare all’alba: abitavo in zona San Siro e dovevo andare a Cinisello».

Da una parte la provincia dell’Ogliastra dall’altra Milano: ha scelto i due opposti…

«Sì, e sono le mie due anime. A Milano però ti puoi isolare molto più che in Sardegna. Milano non è città caciarona, è un ‘lavurà lavurà’ ed è anche una città di grandi solitudini».