Fase 2, per i bar cinesi la ripartenza è in salita

In via Giambellino è chiuso da oltre due mesi il locale amato da Giorgio Gaber mentre in corso Lodi le attività orientali sono un “deserto“

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Milano, 25 maggio 2020 - Sono aperti ma deserti. Oppure sono rimasti con la serranda abbassata. Per i bar cinesi (se ne contano 562 nel capoluogo lombardo, secondo dati del registro imprese del 2019) la Fase 2 è là da venire. In via Giambellino sembra che la strategia scelta dai titolari di origine asiatiche sia quella che suggerisce il Tao Te Ching in un suo celebre passo: "Non agire". Sulla via, infatti, su sette insegne cinesi, ne abbiamo trovate spente cinque ieri.

È da marzo che è giù la serranda del mitico ex "bar del Giambellino", al civico 50, quello citato nella Ballata del Cerutti Gino. Il locale frequentato dal "Drago" nella canzone di Giorgio Gaber dal 2014 è passato nelle mani dei fratelli Hu, Giuseppe e Sergio, diventando “Bar Tabacchi”. "Non ha ripreso l’attività né quando è stato possibile l’asporto, dal 4 maggio, né con la riapertura dal 18" confida un residente del palazzo e la versione è confermata dalla sartoria a fianco. Non è l’unico ad aver preso questa decisione. Anche il “Dream’s Bar”, poco distante, "è chiuso dal lockdown" conferma la barista (italiana) del “Giambella Style”. La “Caffetteria Tavola Fredda” ha mezza serranda aperta: ma dentro sono stipate solo casse di acqua, Coca Cola e chincaglierie. "Sto facendo premere aria al locale" precisa la negoziante cinese sgusciando fuori dall’alimentare “Sud Americano e Asiatico” mentre scattiamo una foto, anche se il dubbio è che abbia trasformato il bar chiuso in un magazzino. Claire abbassata anche al “Bar Punto” vicino a piazza Tirana, e al vicino “Golden Bar“.

In corso Lodi, che è un’arteria inflazionata di locali etnici, i bar cinesi sono apertissimi: ma desolatamente vuoti. Lo sono il tabacchi “Millennium”, il “Pasha Café” e anche “Lucky Bar”. Che proprio baciato dalla fortuna in questo periodo non lo è: dentro non c’è nessuno a parte il gestore cinese. Mentre è gettonatissimo il barpasticceria che si trova a pochi metri di distanza, le “Officine del Dolce”: i tavoli all’esterno sono tutti occupati e bisogna mettersi in fila persino per un caffè al bancone. I baristi sono tutti italiani.

Un caso? Francesco Shi del bar tabacchi in corso Lodi 113, cinese solo nel cognome e nello sguardo, essendo nato a Prato 27 anni fa, preferisce negare l’ipotesi di una sinofobia strisciante. Il suo locale è rimasto chiuso dal 20 febbraio, prima dell’ordinanza regionale che disponeva la chiusura dei bar dalle 18. L’asporto è partito dal 4 maggio e dal 18 anche l’attività al bancone dove è comparso il plexiglas. Secondo Shi alcuni suoi connazionali non hanno riaperto perché, visto lo scarno volume degli affari, "riprendere costa di più che rimanere chiusi. Alcuni sono tornati nella madrepatria". La caffetteria soffre anche nel suo locale: "Siamo passati da 200 caffè al giorno a una cinquantina" ammette. "Gli affitti però sono rimasti gli stessi" dice.

 

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