Cassina, nella startup che ha vinto la battaglia: "Così abbiamo battuto Facebook"

La società: quell’app era nostra

Il team che lavora a Cassina, nelle file di Business Competence

Il team che lavora a Cassina, nelle file di Business Competence

Cassina de' Pecchi (Milano), 20 settembre 2019 - Violazione del diritto d’autore e concorrenza sleale, la condanna arrivò nel 2016, e ora Facebook paga i danni: 350 mila euro di risarcimento alla Business Competence di Cassina de’ Pecchi, che nel 2014 accusò il colosso social di aver copiato contenuti e funzioni di una sua app. «Quella denuncia? Fu un raptus. Ma siamo contenti: abbiamo fatto scuola». La crociata contro Golia partì dagli uffici in via Roma, nel cuore di Cassina. Staff giovanissimo, atmosfera creativa, tazze di caffè e cartelli di benvenuto ai cani. “Faround”, l’app della discordia, è nata qui. Quando il team di Business, società di sviluppo software e media agency con attività multicolore e focus specifico (manco a dirlo) sulla sicurity, la creò, era una delle prime app di servizio per rintracciare e geolocalizzare luoghi d’interesse, bar e ritrovi. Vide la luce nel 2012 proprio su Facebook. Al team di Zuckerberg i progettisti di Faround notificarono a rigor di protocollo funzione, obiettivi e caratteristiche dell’applicazione. Che prendeva giusto piede «quando, quattro mesi dopo – racconta la titolare di Business Competence Sara Colnago – Fb annunciò che sulla piattaforma sarebbero comparse delle nuove ‘funzionalità’. Fra cui Nearby, gemella della nostra. Salvo che era più comoda, non andava neppure scaricata». Per la società in crescita un brutto colpo. «Ci riunivamo qui e ci guardavamo in faccia, chiedendoci cosa fare». La causa fu intentata a breve, come capocordata l’avvocato, docente ed esperto di diritto d’autore Marco Spolidori, «anche lui, come noi, ha compiuto un atto di coraggio. Sul diritto d’autore in rete c’era ben poca letteratura». Un terreno infido, un contesto ‘immateriale’, astratto e discrezionale che non ha impedito ai giudici di scovare il plagio. Nel 2016 la prima condanna, nel 2018 l’affondo, con la sconfitta del social network in corte d’appello. La quantificazione del risarcimento di ieri chiude il cerchio solo per ora. «Non sta a noi fare numeri», ma i consulenti di parte quantificarono danni presunti in 18 milioni di euro. Cifra a distanza siderale da quella riconosciuta. «Valuteremo il da farsi». A carico di Facebook i giudici hanno stabilito anche 90 mila euro di spese legali e il rimborso per i consulenti tecnici. A Cassina i sorrisi sono larghi, ma più che altro si lavora. «Non ci siamo mai fermati. Siamo cresciuti. Eravamo in 10, siamo quasi 50, abbiamo un nuovo ramo in una startup innovativa e siamo prossimi al trasloco a Cernusco. Qui non ci stiamo più». Fu plagio. «Se non fosse stato riconosciuto, aver avuto la stessa idea di Facebook ci avrebbe comunque lusingato». La nuova sede? «Luminosa, vicina al metrò: e con un angolo della birra. Per lavorare ci vuole».  

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