"Storie vecchie, processi non equi". Così la Francia salva gli ex terroristi

Le motivazioni della corte parigina: nessuna certezza di rifare il giudizio con più garanzie. Poche ore per un ricorso

Milano -  Ora soltanto pochi giorni per il possibile ricorso della Procura generale francese. Sabato sera la Chambre de l’Instruction parigina ha depositato le motivazioni con cui in settimana ha negato l’estradizione per dieci ex terroristi italiani, tra cui cinque legati a fatti di sangue avvenuti in Lombardia. In sintesi, tra le ragioni citate: i processi celebrati quando gli imputati erano in contumacia, nessuna certezza che al rientro in Italia avrebbero un nuovo "equo" processo, e un intervallo di tempo troppo lungo, 40 anni, durante il quale è stata data loro la possibilità di ricostruirsi una vita, una famiglia. Nelle motivazioni dei giudici - la presidente Belin e i consiglieri Berthe e Kenette - si legge infatti che le sentenze di condanna in Italia sono state rese quando gli imputati erano "latitanti e contumaci" e che sono stati "condannati al termine di una procedura alla quale non erano presenti" e "le autorità italiane non sono state in grado di indicare" se gli imputati "fossero stati assistiti da un avvocato scelto effettivamente" dagli stessi interessati.

Quanto alla possibilità che i processi vengano riaperti in Italia al rientro dei latitanti, in seguito alla "evoluzione" della legge italiana sulla contumacia, i giudici osservano che "le spiegazioni" richieste "non contengono alcuna affermazione del diritto" degli imputati di beneficiare di un nuovo processo. I giudici tirano più volte in ballo, come ha sottolineato la presidente del tribunale mercoledì scorso annunciando la decisione sfavorevole all’estradizione, l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sulla necessità di un "processo equo". L’altra motivazione che ha spinto i giudici a negare l’estradizione, come già preannunciato dalla presidente, è contenuta nell’articolo 8 della stessa convenzione, che tutela la vita privata e familiare. Per i giudici, "la passività delle autorità italiane, durata 30 anni prima di riformulare una richiesta di estradizione, ha contribuito alla costruzione di una vita privata e familiare sul suolo francese" e loro poi "non hanno commesso più atti illegali".

Segue l’elenco delle professioni e delle cariche ricoperte in Francia, i nomi delle persone che sono state mogli, mariti. I figli, avuti in Francia, per qualcuno i nipoti: "I problemi causati all’ordine pubblico dai fatti commessi deve essere considerato alla luce della loro gravità – ammettono i giudici – ma anche del lungo tempo trascorso. Senza sottovalutare la gravità eccezionale dei fatti contestati (...) bisogna riconoscere che si tratta di fatti molto remoti, avvenuti 40 anni fa". Gran parte degli accusati, rilevano i giudici, "si sono integrati nella società fin dal loro arrivo in Francia, vivendo nella legalità e provvedendo ai bisogni loro e delle loro famiglie".

Dei dieci italiani rifugiatisi in Francia dagli anni ’80 e fermati nell’aprile 2021 nell’ambito dell’operazione Ombre Rosse, cinque sono quelli condannati per omicidi avvenuti a Milano e in Lombardia: Giorgio Pietrostefani, 78 anni, mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi; Narciso Manenti, che uccise un carabiniere a Bergamo; Sergio Tornaghi, 63, tra i responsabili dell’uccisione del manager Renato Briano a Sesto San Giovanni; Raffaele Ventura, 72, condannato per la morte del vicebigradiere Antonio Custra in via De Amicis a Milano e Luigi Bergamin, 73, che partecipò all’omicidio in città dell’agente della Digos Andrea Campagna.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro