"Esercizio del diritto di critica politica". Ecco perché Sala non è stato diffamato

Le motivazioni che hanno spinto la Cassazione ad assolvere il giornalista Travaglio

"Il ricorso deve essere accolto, ben potendo le espressioni contestate al Travaglio rientrare nell’esercizio del diritto di critica politica, che trova fondamento nell’interesse all’informazione dell’opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici e dei pubblici amministratori". In sintesi, la motivazione con cui il 24 febbraio la Cassazione ha assolto "perché il fatto non costituisce reato" il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio dall’accusa di aver diffamato il sindaco Giuseppe Sala.

Secondo l’accusa, il giornalista avrebbe offeso l’onore del primo cittadino durante la trasmissione "Otto e Mezzo", "affermando, falsamente, che lo stesso avesse ricevuto illecitamente la somma di 50mila euro dal costruttore Luca Parnasi e insinuando che quest’ultimo, in cambio di tale dazione, avesse ricevuto favori dall’amministrazione comunale anche per la realizzazione del nuovo stadio della società AC Milan". Nel corso del programma, incentrato "principalmente sulla vicenda corruttiva inerente la realizzazione del nuovo stadio della società AS Roma" che in quel periodo aveva lambito anche l’amministrazione capitolina guidata da Virginia Raggi, Travaglio, "dopo aver escluso le responsabilità di appartenenti al “Movimento 5 Stelle”", aveva detto le seguenti frasi: "I soldi sono finiti ad altri... anche se nessun giornale l’ha scritto il nome di Sala, il nome di Sala è nelle carte, 50mila euro... questa sembra un’inchiesta sulla Raggi e su Di Maio, che sono due tra i pochi che non hanno preso un euro, mentre la Fondazione della Lega ha preso 250mila euro, Sala ha preso 50mila euro... su Sala oggi non c’è nessun giornale italiano, tranne il nostro, che abbia dato conto dei 50mila euro a Sala, che ha preso 50mila euro da un costrutture che parlava con lui dello stadio del Milan, in pieno conflitto d’interessi, e lo ringraziava dicendosi gratissimo con lui... perché chiedere le dimissioni di un sindaco che non prende soldi e non chiedere le dimissioni di un sindaco che prende soldi?".

Per quelle affermazioni, Sala ha querelato Travaglio. E la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio, ipotizzando, come condiviso dai giudici di primo e secondo grado, che "l’imputato avrebbe insinuato che il finanziamento percepito da Sala, nel corso della campagna elettorale del 2016 e regolarmente rendicontato, fosse di natura illecita e finalizzato a ottenere dei favori". Un’impostazione ora sconfessata dalla Cassazione. Perché? Premesso che il giornalista non ha mai qualificato "come illecito il finanziamento ricevuto dal Parnasi", gli ermellini hanno rilevato che "in quella trasmissione non si discuteva esclusivamente di corruzione" e che "il comportamento del Sala non era stato “accostato” a quello di persone accusate di corruzione".

Di più: in quel momento, "l’oggetto della discussione era stato spostato (anche, se non soprattutto) sul piano dell’etica e dell’opportunità politica". Quindi, Travaglio "ha “accostato” la posizione di Sala non a quella di una persona che aveva “preso mazzette”, ma a quella di un altro sindaco (Raggi, ndr), di cui si stavano discutendo le scelte, sotto il profilo politico". Bocciata l’equazione: "Gli appartenenti al Movimento 5 Stelle non hanno preso mazzette; altri hanno preso soldi; Sala ha preso 50mila euro; Sala ha preso mazzette". Per la Cassazione, "tale sequenza logica non è corretta, perché arbitrariamente attribuisce alla parola “soldi” il significato di mazzette".Nicola Palma