Di Pietro, Albertini e il nodo giustizia

L’ex pm di Mani pulite: "Altro che referendum, il vero problema sono i tempi lunghi dei processi"

Antonio Di Pietro

Antonio Di Pietro

Milano - Prima l’anniversario della strage di Capaci, costata la vita a Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e a tre uomini della scorta: «Solo due elementi possono fermare l’azione di un magistrato: un altro magistrato o chili di tritolo». Poi i trent’anni dell’inchiesta Mani Pulite: «In realtà non iniziò a Milano nel 1992, ma l’anno prima, a Palermo, grazie alle indagini dei carabinieri del Ros: la famosa inchiesta mafia e appalti nota anche a Paolo Borsellino». Infine, l’iconica espressione «l’ingegnerizzazione della corruzione» coniata per suggellare i complessi retroscena del caso Serravalle, dal nome della società che gestisce e possiede l’autostrada Milano-Liguria, ricostruito da Gabriele Albertini nel suo volume «Rivoglio la mia Milano»: «Oggi per corrompere non serve più nemmeno il denaro, il sistema si è ingegnerizzato», chiarisce Antonio Di Pietro a confronto, l’altra sera a Bergamo, proprio con Albertini, nella serata offerta dai Rotary all’ex senatore, eurodeputato e sindaco di Milano ai tempi della vicenda conclusa recentemente con una condanna in via definitiva dell’ex giunta provinciale guidata da Filippo Penati.

«Non convinto delle scelte di quella giunta - ricorda Albertini - mi ero rivolto a Francesco Saverio Borrelli, Gerardo d’Ambrosio e, appunto, Di Pietro. Proprio Tonino, dopo aver letto l’enorme documentazione che avevo raccolto, se ne uscì con questa espressione molto suggestiva che non ha mai smentito. E sempre lui ha stigmatizzato l’assenza delle conclusioni delle indagini sul caso, alla base della prescrizione del reato ipotizzato e che lui stesso mi aveva consigliato di denunciare alla Procura della Repubblica». La recente ordinanza della Corte di Cassazione, che conferma i danni erariali per 44,5 milioni di euro causati dall’allora giunta Penati per l’acquisto a un prezzo sovrastimato delle quote della società autostradale, ha chiuso la vicenda. Ma il tema della corruzione, denuncia Di Pietro, è ancora attuale: «Oggi si fanno norme apposta, il corruttore paga il favore garantendo pacchetti di voti». Di Pietro, che si divide fra Bergamo e Montenero di Bisaccia, dove gestisce la sua azienda agricola, oggi è un avvocato. «Dai tempi di Mani Pulite - racconta - sono stato accusato 17 volte e per 17 volte prosciolto».

Mai cambiato idea sui metodi che l’hanno resa celebre nei panni di pubblico ministero? «Il codice di procedura penale, al primo capitolo, elenca i soggetti processuali: l’indagato, l’imputato, il testimone, la parte lesa, il pm, il poliziotto, la vittima. Io sono stato tutte queste cose. Accetto le critiche ma non che mi vengano addebitati fatti non veri».

Ha citato in giudizio i suoi detrattori. «Ho dalla mia 253 sentenze. Testimoniano delle falsità che sono state dette sul mio conto».

Per esempio che fosse un agente segreto. «E che non avessi conseguito regolarmente la laurea, ma l’avessi acquistata. Chi l’ha detto ha dovuto risarcirmi».

Sua l’espressione «dazione ambientale». A Severino Citaristi, allora tesoriere della Dc, costò 72 avvisi di garanzia. «Alla sua morte, qui a Bergamo, sono andato al suo funerale insieme a mio suocero. Era un galatuomo, non aveva preso per sé neppure una lira. Io i soldi di quelle tangenti li ho travati, ma non da lui».

Le hanno contestato di aver adottato la «regola della panna». «Nelle indagini complesse, e quella sulla maxitangente Enimont lo era, mi concentravo su quanto c’era in superficie. Così mi hanno contestato l’omissione di atti d’ufficio. La realtà è che non avevo tempo di scavare in profondità su ogni minimo dettaglio, dovevo pensare all’indagine nel suo complesso, nell’individuare le varie complicità. Dovevo finire il processo prima che mi fermassero e ci sono riuscito».

Voterà ai referendum sulla giustizia? «Ci sto riflettendo e come me dovrebbero fare tutti. Nessuno sa bene cosa prevedano i 5 quesiti. Qual è il vero problema della giustizia in Italia? La lunghezza dei processi. Quale sia l’esito è sempre fuori tempo: per l’innocente, per il colpevole e per la società. I tempi dei processi però non si accorciano con un referendum, ma con assunzioni di personale e investimenti. Cosa c’azzeccano i 5 quesiti con tutto questo?».  

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