
Doina Coman alla partenza della sua marcia in piazza a Siena
Milano, 27 aprile 2017 - «Sono contenta. Ho parlato al ministro come una madre parla a un padre, e lui ha capito. Adesso sa che Cristian deve tornare a casa il prima possibile». Per la prima volta, dopo venti mesi di angoscia, Doina Coman sorride. La sua marcia in solitaria sulla via Francigena, iniziata pochi giorni fa da Siena a Roma, per sensibilizzare l’Italia sul suo incubo, gli è valsa ieri mattina l’invito alla Farnesina, dove è stata ricevuta da Angelino Alfano, titolare del dicastero agli Affari Esteri. Con lei c’erano la compagna di Cristian Provvisionato, 43 anni, dal settembre 2015 prigioniero in Mauritania, e Fabio Schembri, l’avvocato della famiglia di Cornaredo che già difese Olindo e Rosa. «Al ministro – spiega il legale, con moderato ottimismo – ho spiegato che la magistratura ha ormai acquisito tutti gli elementi possibili sui responsabili di questo pasticcio. E che ormai la questione è squisitamente politica. Non possiamo aspettare infinite indagini in Mauritania, tocca all’Italia agire risolutamente per portare a casa il risultato. Così come ha agito, in modo ottimo, per Gabriele Del Grande».
Alla madre 62enne di Cristian Provvisionato la telefonata di convocazione era arrivata solo 24 ore prima, ad Acquapendente, 130 chilometri da Roma, mentre ancora trascinava lo zaino a rotelle con il nécessaire per il suo pellegrinaggio a piedi. Una telefonata che Doina attendeva da lunghi mesi e che ha riacceso le sue speranze. «Adesso voglio crederci», dice commossa. Cristian era stato arrestato a Nouakchott, capitale del paese africano, il primo settembre 2015, con l’ipotesi iniziale di partecipazione a una banda internazionale, accusata di avere truffato la Mauritania per circa un milione e mezzo di euro, dopo l’incompleta consegna di una complessa architettura di sistemi di cyberspionaggio web da parte di un pool di società estere.
Un'accusa caduta presto, una volta accertato che Cristian era un bodyguard e non un informatico. Ma la trappola era ormai scattata, in un intrico surreale di servizi segreti, spie e intercettazioni via Internet, hacker indiani e israeliani, acrobati della finanza, società di investigazioni private e di software, diplomatici, magistrati italiani e africani. Una vicenda costata a Cristian, diabetico, la perdita di 30 chili nei primi cinque mesi di detenzione. Comincia il giorno di Ferragosto del 2015 quando lui è al mare con la compagna, Alessandra Gullo, a pochi mesi dalle nozze, previste in autunno. Con una telefonata, da Milano, una società di investigazioni gli chiede di andare in Mauritania l’indomani per un meeting di prodotti informatici. Lui non sa niente di pc, ma bastano la presenza, una giacca e una cravatta. All’arrivo, il meeting è stato annullato. Ma la società italiana faceva parte del pool di aziende, tra cui quelle fornitrice del software-spia. Tredici sistemi in grado di infettare pc, smartphone o tablet, per monitorare a distanza potenziali terroristi. Il tredicesimo sistema, necessario a far funzionare gli altri, non è mai arrivato. Di qui l’ipotesi di truffa e l’arresto di Cristian, come figura di garanzia, benché innocente. Domenica allo stadio Meazza, per Inter-Napoli, gli Old Fans Gate 23 al primo anello verde esporranno un lungo striscione su Cristian, tifoso nerazzurro. Ora si riaccendono le speranze, ma il pallino è nelle mani del Governo.