Emergenza Coronavirus: "Il mio sciopero? Sto coi figli e aiuto papà"

La giornata di Salvatore Viola, uno dei lavoratori che hanno incrociato le braccia: se noi ci ammaliamo tutta l’economia si ferma

Salvatore Viola, 51 anni

Salvatore Viola, 51 anni

Milano, 26 marzo 2020 - Nessun presidio davanti ai cancelli, che in tempi normali spesso accompagna uno sciopero. Salvatore Viola, 51 anni, terminato il turno di notte, ha trascorso la giornata di mobilitazione dei lavoratori in casa a Milano, con la compagna e i due figli diciottenni, tra contatti al telefono con i colleghi della stamperia Elcograf di Melzo, controllata da Pozzoni Spa. L’assistenza al padre che vive poco lontano e, come tanti anziani, sta pagando il prezzo più alto della quarantena, perdendo autonomia giorno dopo giorno. Poi, occasione rara, una notte di sonno. Una giornata di sciopero ai tempi del coronavirus, simile a quella dei lavoratori lombardi che ieri hanno incrociato le braccia.

Per il decreto ditte come quella dove lei lavora non devono fermarsi. Che cosa ne pensa? "Penso che i codici Ateco vadano rivisti, ma quello che voglio sottolineare è che noi non vogliamo stare a casa per forza ma vogliamo che venga rispettato il diritto a lavorare in un luogo sicuro. Se si ammalano i lavoratori l’economia si inchioda. Per questo da noi lo sciopero ha avuto una buona adesione".

Ci sono stati contagi in azienda? "Ufficialmente no, ma c’è un tasso molto alto di lavoratori in malattia, con picchi del 70-80% considerando tutte le sedi. Non hanno fatto il tampone, quindi non si può sapere se siano affetti da coronavirus. Io ho uno zio di 96 anni che è ricoverato in ospedale. I miei cugini non possono neanche vederlo, questo è uno degli aspetti peggiori".

In che condizioni state lavorando da quando è iniziata l’emergenza? "Io sono delegato della Slc-Cgil, con gli altri rappresentanti sindacali abbiamo chiesto e ottenuto di lavorare solo sulla stampa di periodici, trascurando cataloghi e commerciali che comunque in questo periodo non avrebbero mercato. La mensa è stata chiusa rimodulando i turni, è stato distribuito disinfettante, la mascherine a mio avviso sono poche e poco idonee. Si potrebbe fare molto di più".

Si lavora di meno da quando è iniziata l’emergenza? "Ci sono stati cali delle commesse, ma il settore della stampa è in crisi da vent’anni. Veniamo da tempi difficili, una decina di colleghi su 80 erano già in cassa integrazione in vista del pensionamento. Adesso non so cosa ci aspetta".

I suoi figli sono preoccupati per il futuro? "Sono giovani, non ci pensano. Io da tempo dico loro di studiare e andare all’estero perché arriviamo da anni di tagli e malgoverno. Qui ci sarà tutto da ricostruire, come nel dopoguerra".

Come ha trascorso la giornata di sciopero? "Sono stato con la famiglia, abbiamo guardato la televisione, ho curato mio padre perché per assisterlo, assieme ai miei fratelli, da tempo faccio solo turni notturni. Voglio stargli vicino il più possibile, proteggerlo da tutto questo".  

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