Charitos, la crisi e il divario generazionale

Markaris presenta l’ultima avventura del Maigret di Atene ("La congiura dei suicidi") alla Milanesiana

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di Diego Vincenti

La forza per rimanere in piedi. Come se l’esistenza fosse un lungo, estenuante incontro di pugilato. Una forza che Petros Markaris si augura trovi sempre la sua Grecia. E che come un vento pare attraversare le vite di chi affaccia sul Mediterraneo. Anche nei libri: da Jean-Claude Izzo a Camilleri, passando per il commissario Kostas Charitos, il Maigret di Atene. Protagonista de "La congiura dei suicidi", appena uscito per La Nave di Teseo. Un giallo immerso nelle atmosfere inquiete del lockdown. Dove emerge fortissimo il confronto (scontro) generazionale. Stasera lo scrittore greco ne parla a La Milanesiana, la rassegna ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi. Dalle 21, all’Anteo Palazzo del Cinema. Con lui il Premio Nobel John Coetzee, Sandro Veronesi ed Edoardo Nesi, seguiti da un concerto del violinista Giuseppe Gibboni e di Carlotta Dalia alla chitarra classica.

Markaris, come racconterebbe il nuovo romanzo?

"Al di là dell’intreccio poliziesco, quello che ho voluto sottolineare è la totale distanza fra le idee della vecchia generazione e quelle dei ragazzi più giovani. Un confronto che all’interno della pandemia si è sviluppato esclusivamente come scontro generazionale. Ma che invece nell’ambito della vita familiare è un po’ diverso. È un dato interessante che molti giovani abbiano ad esempio un buon rapporto con i nonni e pessimo con i loro genitori".

La possibilità di un miglioramento sociale passa da questo dialogo?

"Il mio timore è che la nuova generazione abbia un pensiero troppo differente e questo riguarda il modo in cui i giovani sono cresciuti. I più anziani avevano imparato a combattere la povertà perché vivevano una situazione di miseria. Per i ragazzi oggi è un po’ diverso, fin dal periodo degli studi, dove spesso ricevono un reddito fisso dai loro genitori. Cosa che all’epoca era inconcepibile".

Parla degli anni Sessanta?

"Sì, io arrivai ad Atene nel 1964 e la Grecia allora era un Paese poverissimo. La lotta contro la povertà era quotidiana e senza respiro. Come dice uno dei personaggi al Commissario Charitos, quelli che scendevano in piazza per combattere l’indigenza non avevano una collocazione politica, non erano tutti di sinistra. Ma erano tutti contro la povertà".

In questo periodo quale è il ruolo di uno scrittore?

"Attraverso il suo lavoro un autore deve sempre offrire alla società la possibilità di un esame, di una visione, di un’interpretazione. Pensi solo ai romanzi polizieschi. Oggi il giallo mediterraneo è considerato un libro politico-sociale. Ma non è certo una nostra scoperta, era già così nell’Ottocento. “I Miserabili“ inizia con una trama poliziesca, “Delitto e castigo“ con un omicidio. Ma lo stesso si può dire dei Karamazov o delle opere di Balzac o Zola. Tutti autori che hanno preso l’intreccio dei gialli come pretesto per raccontare della società".

Dica la verità: lo sopporta ancora il commissario?

"Penso a Kostas anche quando non ne scrivo, io e lui viviamo in famiglia, non ho bisogno di un libro per ricordarmene. Charitos è sempre presente nella mia esistenza. E come tutti questi lunghi rapporti quotidiani, anche la nostra relazione ha i suoi momenti di rabbia ed esasperazione…"

Il tema della Milanesiana è "omissioni".

"Ho scritto un intervento, cercando di sottolineare l’importanza di questa riflessione all’interno della sfera artistica".

Cosa si augura invece per la sua Grecia?

"Che trovi sempre la forza per rimanere in piedi".

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